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Investitori dei bond preoccupati, tra inflazione e paura di una recessione

Pubblicato 17.05.2022, 13:14
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Su, giù, su, giù: i rendimenti dei Treasury USA continuano ad essere altalenanti, mentre gli investitori cercano di bilanciare i timori per l’inflazione e la preoccupazione per un rallentamento economico globale, se non una recessione.

Buone notizie, cattive notizie: i dati sono misti e l’economia non ha una direzione chiara. Il rendimento dei Titoli del Tesoro USA decennali ieri è sceso poco sotto il 2,9% dopo aver sfiorato il 3,2% la scorsa settimana.

US 10-year Weekly Chart

Gli analisti tecnici scommettono sull’incapacità dei decennali di restare sopra il 3%, affermando con fiducia che, se non l’hanno infranto finora, non lo faranno. Vedremo, ma la palla di vetro è decisamente offuscata.

Quello che abbiamo visto nel passato recente è che gli investitori sono rapidi ad abbandonare i Treasury se l’inflazione si surriscalda. La scorsa settimana la lettura di aprile sull’indice sui prezzi al consumo è risultata inferiore sull’anno, pari all’8,3% rispetto all’8,5% di marzo, ma comunque superiore all’8,1% previsto e difficilmente dimostra un picco dell’inflazione.

Ci sono varie opinioni, ma il consenso è che l’inflazione resterà piuttosto alta.

Mentre i rendimenti dei Treasury vanno su e giù, il dollaro non fa che rafforzarsi e si avvicina alla parità con l’euro, dagli 1,20 dollari di appena qualche settimana fa.

Questo in parte per via della posizione più aggressiva della Fed sui tassi di interesse, in ritardo ma comunque più avanti della Banca Centrale Europea, dove i policymaker ancora si chiedono se uscire dal territorio negativo.

La svolta è che una moneta più forte riduce l’inflazione perché rende le importazioni più economiche, mentre una valuta più debole peggiora l’inflazione rendendole più costose.

In questo caso, i tassi di interesse più alti stanno rendendo il dollaro allettante ed attirando afflussi, mentre dei tassi più deboli rendono l’euro meno desiderabile, incoraggiando i flussi monetari verso gli USA.

Il dilemma dei banchieri centrali europei

Il capo della banca centrale francese, François Villeroy de Galhau, ieri si è detto preoccupato per il fatto che la debolezza dell’euro faccia salire l’inflazione.

German 10-year Weekly Chart

Villeroy de Galhau è un moderato sui tassi di interesse, ma i suoi commenti hanno brevemente riportato il rendimento dei bond decennali tedeschi sopra l’1%, prima che scendesse imitando i Treasury. Il rendimento dei bond tedeschi ha raggiunto il picco di poco oltre l’1,17% la scorsa settimana, scendendo però allo 0,94% ieri.

Il dilemma dei banchieri centrali europei è quanto sia vulnerabile l’economia per via della dipendenza dal petrolio e gas russi.

I funzionari di Washington per anni hanno messo in guardia i colleghi UE circa il rischio di questa dipendenza, ma la Germania, in particolare, ha ignorato questi timori, procedendo con il progetto di un nuovo gasdotto che porta il gas russo direttamente in Germania sotto il Mar Baltico. (Il Nord Stream 2 è stato abbandonato).

Ma Washington ha poco da gioire per averci azzeccato, perché i prezzi degli energetici alle stelle in Europa non solo si trascinano dietro quelli statunitensi, ma mettono a rischio l’economia del continente.

Il Presidente russo Vladimir Putin consente ancora al gas di fluire, ma sta cercando di costringere l’Occidente a pagarlo in rubli in risposta alle sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, compreso il congelamento delle riserve estere di Mosca.

Sta diventando chiaro che l’economia globale è una cosa ottima quando tutti rispettano le regole, ma può portare ad enormi sconvolgimenti quando qualcuno sceglie di giocare sporco.

Come se non bastasse, la Cina, la seconda economia mondiale, sta perseguendo una politica di tolleranza zero per il COVID, con drastici lockdown e quarantene che hanno comportato un enorme calo dell’attività economica.

Non meraviglia che gli investitori cauti preferiscano la sicurezza del dollaro e dei Treasury in questo contesto.

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