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OPEC alzerà la produzione da sola o lascerà che il mercato crolli?

Pubblicato 12.04.2019, 15:33
Aggiornato 02.09.2020, 08:05
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Ancora una volta, l’OPEC sta tagliando la produzione in modo sconvolgente ed ancora una volta gli hedge fund stanno rispondendo spingendo il prezzo a livelli sempre più alti ogni settimana.

Ed ancora una volta si stanno probabilmente gettando i semi della prossima distruzione del mercato senza che molti se ne rendano conto, fino a quando l’implosione non coglierà tutti di sorpresa.

Brent Daily Chart

I segnali più evidenti del fatto che potrebbe essere arrivato il momento di tirare il freno all’impennata del greggio sono emersi ieri da un paio di notizie di Reuters e dall’avvertimento della parigina Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), che suggeriscono che i prezzi ad oltre 70 dollari al barile potrebbero essere insostenibili al momento.

Secondo una delle due notizie di Reuters, i 14 membri dell’OPEC e gli altri 10 produttori petroliferi capeggiati dalla Russia potrebbero dover fermare i tagli alla produzione entro luglio se le scorte venezuelane ed iraniane dovessero continuare a scendere e i prezzi dovessero continuare a schizzare.

Il mercato potrebbe ridimensionarsi eccessivamente se l’OPEC non aumenterà la produzione

E questo perché proseguire con i tagli alla produzione in una situazione simile potrebbe comportare un ridimensionamento eccessivo del mercato, si legge nell’articolo di Reuters.

Citando una fonte OPEC, Reuters spiega:

“Se ci fosse un forte calo delle scorte ed il greggio arrivasse ad 85 dollari, sarebbe qualcosa a cui non vorremmo assistere, quindi potremmo dover aumentare la produzione”.

Nel frattempo, l’AIE ha sottolineato nel report mensile di aprile che la domanda rappresenta una parte “importantissima” dell’equazione del riequilibrio del mercato petrolifero e che il quadro tutt’altro che straordinario dell’economia globale causa troppa incertezza al momento.

Segnali misti sullo stato di salute dell’economia globale, avverte l’AIE

Spiega l’agenzia:

“Per quanto riguarda il 2019, tra la comunità degli analisti vi è una divergenza di opinioni straordinariamente ampia su quanto sarà forte la crescita”.

“Confermiamo le nostre previsioni di 1,4 milioni di barili al giorno, ma teniamo a mente che ci sono segnali misti sullo stato di salute dell’economia globale ed idee differenti sul livello probabile dei prezzi del greggio”.

Il greggio USA West Texas Intermediate ed il britannico Brent di riferimento sono scesi di oltre l’1% ieri, segnando il calo giornaliero maggiore in tre settimane sulla scia degli avvertimenti.

Ma, solo 24 ore dopo, i prezzi del greggio hanno ripreso a salire, con i trader a ripetersi il mantra dei tagli operati dal cosiddetto gruppo OPEC+.

Il modo in cui i gestori di fondi stanno rilanciando il greggio in ogni occasione ricorda gli eventi del 2014, prima del primo crollo dei mercati dovuto allo scisto, avverte John Kemp di Reuters in un altro articolo pubblicato ieri.

Scrive che, oggi come allora, l’aumento delle sanzioni USA ed altri sconvolgimenti non pianificati, come gli scontri in Libia, sono stati fondamentali per spingere “i prezzi in salita sul breve termine e preparare la strada al crollo successivo”.

Molte somiglianze tra questo momento ed il crollo pre-2014

Kemp mette in luce delle situazioni straordinariamente simili tra il mercato petrolifero attuale e quello di cinque anni fa per mostrare il cammino potenzialmente pericoloso che potrebbe prospettarsi.

Scrive:

“Nel 2013/14, le sanzioni USA contro l’Iran, nonché alcune interruzioni temporanee (alcune vere, altre solo minacciate) causate dagli scontri in Libia e dall’avanzata dei combattenti islamici nel nord dell’Iraq, hanno contribuito a mantenere i prezzi sopra i 100 dollari al barile”.

“L’Arabia Saudita ed altri membri dell’OPEC con capacità di scorte sono stati lenti a rispondere, insistendo che il mercato restava adeguatamente rifornito e che i prezzi non erano troppo alti”.

“Ma gli hedge fund ed altri gestori di patrimoni hanno aumentato le loro posizioni rialziste nette lunghe sui future e le opzioni del greggio a 626 milioni di barili alla fine del giugno 2014, in salita dai 367 milioni di sei mesi prima, facendo accelerare l’aumento dei prezzi”.

“E i problemi di produzione ed i prezzi alti hanno alimentato le fasi finali del primo frenetico boom dello scisto USA, causando un’impennata della produzione e pesando sulla crescita dei consumi”.

L’avvertimento di Kemp potrebbe essere preveggente con la produzione petrolifera USA ai massimi storici di 12,2 milioni di barili al giorno sulla scia dell’aumento dell’attività di trivellazione, che era rallentata da febbraio.

La febbre degli acquisti è un controsenso per il greggio

Scott Shelton, broker dei future energetici di ICAP a Durham, N.C., ieri ha citato varie ragioni per cui l’attuale febbre degli acquisti da parte dei Commodity Trading Advisors focalizzati sul greggio, o degli hedge fund, potrebbe essere un controsenso, soprattutto per il greggio USA.

Spiega Shelton:

“Vedo un mercato in cui non c’è più carenza di CTA long ed una lunghezza di indice ora quasi al 100% per il WTI”.

“Ci sono numerosi segnali, secondo me, del fatto che il mercato potrebbe essere pronto a ritracciare, non solo sugli spread WTI ma anche sul prezzo invariato”.

Aggiunge:

“Non voglio scontarlo in quanto potrebbe portare il mercato “fuori valore” come l’anno scorso, quando i prezzi sono andati sotto i 50 dollari ed hanno finito a 42 dollari. L’unica eccezione è stata il fatto che il calo alla fine dello scorso anno è avvenuto nel periodo delle feste, il che significa che la propensione al rischio era ai minimi”.

È il momento di vendere quando Wall Street dice di comprare?

Sostenendo l’attuale impennata del greggio, le banche di Wall Street capeggiate da Goldman Sachs (NYSE:GS) hanno alzato le previsioni sui prezzi del greggio nelle ultime settimane, focalizzandosi sulla riduzione delle scorte piuttosto che sulle condizioni economiche che supporterebbero il mercato.

L’anno scorso, numerose banche hanno previsto un prezzo di 100 dollari quando il Brent si avvicinava ai 90. Improvvisamente, il mercato si è invertito sulla scia delle inattese esenzioni sul greggio iraniano concesse dal Presidente Donald Trump. Il WTI è crollato del 40% nel quarto trimestre, segnando un minimo di 42,36 dollari il 24 dicembre, prima di chiudere il 2018 a 45,10 dollari.

Ignorando le prospettive molto poco ottimistiche sulla domanda dell’AIE, RBC Capital ieri ha previsto un Brent ad 80 dollari entro l’estate, avvertendo che “restano molti tori feriti dopo il fiasco del quarto trimestre 2018”.

Ma Shelton afferma che molto dell’ottimismo dimostrato dalle banche rappresenta spesso un segnale di vendita.

Aggiunge:

“Senza offesa per le ricerche delle banche, ma il “ridimensionamento dei mercati” come motivo di impennata viene spesso considerato un motivo per non essere short. Penso sempre che si tratti più di uno scambio spread/differenziale rispetto ad uno di prezzo invariato”.

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