Il report sull’inflazione statunitense probabilmente mostrerà un peggioramento per febbraio ed il previsto aumento dei tassi della Federal Reserve la prossima settimana probabilmente potrà fare poco per attutirne il colpo, come evidenziato dai massimi pluriennali di petrolio, oro ed altre materie prime questo lunedì, con gli speculatori che approfittano della forte limitazione delle scorte.
Il Brent è schizzato ai picchi del 2008 di oltre 130 dollari al barile, con il destino del petrolio russo appeso ad un filo visto che la Casa Bianca sta prendendo in considerazione il divieto di importarlo, dopo l’invasione di Mosca dell’Ucraina.
L’oro ha toccato di nuovo i massimi di 2.000 dollari l’oncia visti l’ultima volta nell’estate 2020, quando i mercati erano alle prese con l’ancora nuova pandemia di coronavirus e l’asset rifugio aveva incontrato il favore degli investitori che temevano l’incognita del resto dell’anno.
I prezzi di rame, frumento, granturco, soia, e persino caffè, intanto, registrano impennate per i timori che la crisi russo-ucraina possa trascinarsi per mesi, complicando le attività delle filiere che avevano appena cominciato a riprendersi dallo stress del COVID-19.
Il report sull’inflazione USA di febbraio non sarà confortante
A prescindere da quello che pensa il Presidente della Fed Powell, la lettura di febbraio sull’indice sui prezzi al consumo USA, attesa giovedì, difficilmente sarà di conforto.
Le attese sono che l’indice IPC il mese scorso abbia visto un rialzo del 7,9% su base annua. E molti economisti pensano che questa sia una stima prudente. La crescita annua di gennaio del 7,5% era già la più alta dal 1982.
Powell potrebbe avere ragioni per essere preoccupato per i prezzi del petrolio alto che dureranno per un bel po’, perché gli analisti dicono che l’unico modo perché i prezzi scendano è che salgano ancora di più. La cura per i prezzi alti sono prezzi alti, come dice il proverbio del mondo delle materie prime. Con il petrolio russo virtualmente bloccato dalle sanzioni esistenti, i prezzi dovranno salire perché:
- Non ci sono abbastanza scorte per soddisfare i 99 milioni di barili al giorno di domanda globale (in base ai dati del 2019);
- L’altro grande produttore, l’Arabia Saudita, non smetterà di alzare i prezzi.
In un annuncio di venerdì, la saudita Aramco (SE:2222) ha alzato il prezzo di vendita ufficiale (OSP) del suo greggio Arab light all’Asia di un record di 4,95 dollari al barile rispetto alla media Oman/Dubai che usa come riferimento.
Negli scambi asiatici di questo lunedì, il Brent, il riferimento globale, è schizzato a quasi 131 dollari al barile, a meno di 17 dollari dal massimo storico di 147,50 dollari del luglio 2008, prima del meltdown dei mercati globali che aveva preceduto la crisi finanziaria.
Un greggio costoso durerà fino alla “distruzione della domanda”
Se il petrolio russo sarà vietato negli USA, il petrolio potrebbe arrivare a 150 dollari al barile nei prossimi tre mesi, secondo Damien Courvalin, a capo delle ricerche energetiche di Goldman Sachs.
Per J.P. Morgan, se lo sconvolgimento dei volumi russi dovesse durare per tutto l’anno, il Brent potrebbe chiudere il 2022 a 185 dollari. Ma, ad un certo punto, potrebbe anche arrivare la distruzione della domanda di circa 3 milioni di barili al giorno, quando i viaggi di piacere in auto o in aereo diventeranno troppo costosi a quel prezzo, spiega JPM.
Ma seguite anche i segnali tecnici overbought del petrolio
Malgrado l’intensità del rally del petrolio, i segnali tecnici suggeriscono che sia il Brent che il greggio USA, che ha raggiunto massimi di circa 130 dollari questo lunedì, siano fortemente overbought.
“Ogni giorno che passa, il petrolio è sempre più vicino ad innescare un brusco ribasso verso i 105-95 dollari inizialmente, con un successivo rialzo al massimo storico del 2008 di 147 dollari o un crollo a 82-67 dollari, a seconda dei fattori geopolitici che lo interessano”, spiega Sunil Kumar Dixit, a capo delle strategie tecniche di skcharting.com.
Nel caso dell’oro, secondo Dixit il grafico su 4 ore del prezzo spot mostra un breakout sopra la formazione a triangolo simmetrico che punta ai 2.034 dollari subito dopo aver superato l’obiettivo dei 2.000 dollari.
L’oro spot ha segnato un massimo di 2.000,96 dollari questo lunedì, rispetto al massimo storico di 2.073,41 dollari dell’agosto 2020. I future dell’oro sul COMEX a New York sono saliti al picco della seduta di 2.005 dollari, rispetto al massimo storico di 2.121,70 dollari.
Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.