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Ottobre torrido. Dove è finito il 'buy the dip'?

Pubblicato 29.10.2018, 09:31
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Lunedì 29 Ottobre

 Abbiamo archiviato un’altra settimana di forti perdite per il mondo azionario, da alcuni punti di vista simile alla seconda di ottobre nell’incapacità di reagire con un rimbalzo a una singola sessione centrale particolarmente pesante (mercoledì 24 ottobre è stato uno spiacevole remake del 10 ottobre). Il -4.5% con cui l’S&P 500 ha chiuso la settimana ci consegna un mese che, salvo recuperi significativi nelle tre sessioni che ci rimangono, rischia di far registrare i peggiori ritorni mensili a Wall Street dal febbraio 2009, mentre il -4.6% del Nasdaq di mercoledì scorso si qualifica come la giornata peggiore dell’indice tecnologico dal 2011. Il tutto con livelli di volatilità che si confermano elevati con il VIX stabilmente sopra quota venti (anche se ridisceso sotto 25 nel pomeriggio di venerdì) in questo complicato 2018. Sempre prendendo l’S&P 500 come riferimento, abbiamo ora totalizzato quattro sessioni di movimenti superiori al 3% (tutti negativi), cosa che non accadeva dal 2011.

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Brutto mese (finora) per i mercati azionari…

 E il ‘buy the dip’? Questa rappresenta, almeno per ora, la novità della fase attuale. Comprare dopo una settimana o un periodo di perdite è stata una strategia vincente per molti anni. Quest’anno, per la prima volta, quest’approccio sembra aver smesso di dare adeguate soddisfazioni e in questo mese di ottobre in particolare, più che in febbraio, il sell-on-rally sembra aver preso il controllo delle operazioni. Possiamo razionalizzare questo cambiamento con i seguenti fattori: a) l’era del QE è terminata e le banche centrali stanno sottraendo liquidità al sistema; b) la crescita degli utili è in procinto di rallentare dopo aver raggiunto un picco in buona parte artificiale, innescato dallo stimolo fiscale; c) i ritorni zoppicanti e la volatilità sostenuta e in crescita sono elementi endogeni alla price-action di per se stessi in grado di limitare l’appetito per il rischio e la fiducia degli investitori. I fattori a) (soprattutto) e b) sono strutturali e destinati a rimanere con noi e ad alimentare la difficoltà di un mercato che non potrà più essere nei prossimi trimestri quello dei facili guadagni passati. Ma, abbassando l’orizzonte temporale, è soprattutto il fattore c) quello da monitorare e che può eventualmente concedere un recupero nelle prossime settimane. Perdite e volatilità elevata sono i motivi principali per cui la mentatlità del ‘buy the dip’ si sta incrinando, a maggior ragione in momento dell’anno in cui la performance della gestione attiva si è parimenti dimostrata povera e resta eventualmente poco tempo per recuperare prima della fine dell’anno di calendario. Va però anche ricordato che il sentiment di mercato può anche velocemente cambiare, con una riflessività più volte teorizzata da Soros, se la price-action migliora. Anche se d’istinto mi sento meno bearish di una settimana fa, da disciplinato osservatore dei movimenti dei prezzi ribadisco che è consigliabile aspettare di vedere un miglioramento nel comportamento del mercato prima di azzardare degli acquisti. Nel concreto una chiusura dell’S&P 500 sopra quota 2720 mi sembra il minimo indispensabile per abbassare, al margine, il livello di guardia. Un supporto potrebbe arrivare dal ritorno dei buy-back che dovrebbe farsi sentire già a partire da questa settimana e accelerare notevolmente in quelle successive, dopo il copioso flusso di trimestrali che ci stiamo man mano lasciando alle spalle.

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Fonte: WSJ (sinistra), @ConnectedWealth (destra). Le trimestrali sono buone ma…

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Il mercato guarda (pavidamente) sempre più al futuro…

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E la reazione alle notizie positive lascia spesso a desiderare…

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 Un corollario della debacle azionaria di ottobre è quello di lasciare gli investitori sconsolati nel constatare che, in un anno che ha già punito il mondo del reddito fisso (e non solo la periferia) e tutte le asset class dell’universo emergente, i ritorni degli investimenti finanziari sono negativi praticamente ovunque. Come fa notare John Normand, strategist di JP Morgan (NYSE:JPM), perdite così generalizzate hanno in passato caratterizzato momenti storici per nulla piacevoli per il portafoglio medio: la stagflazione degli anni 70 e la grande crisi finanziaria di 10 anni fa. Proprio un riflesso condizionato proveniente dal un passato (2008-2009) in cui gli investitori si erano lasciati cogliere impreparati dagli eventi, potrebbe essere alla base dell’evidente reattività con cui ora reagiscono a qualsiasi stimolo negativo in questa fase matura del ciclo. Basta il timore che il meglio della crescita (economica e/o degli utili) sia alle spalle, o l’ipotesi (tutta da dimostrare) che la Federal Reserve stia commettendo un errore di policy nella sua normalizzazione monetaria, a far scattare le vendite. Al di là di un effettivo peggioramento dei fondamentali il problema, come riportato da alcune analisi di flusso e posizionamento (cito qui JPM Flows and Liquidity), potrebbe essere nel sovrappeso azionario ancora presente nell’universo ‘real money’ anche dopo i recenti significativi ribassi. Le famiglie, i fondi pensioni, le assicurazioni, i fondi sovrani, le fondazioni avrebbero tuttora portafogli sbilanciati sull’azionario rispetto al reddito fisso. La continuazione della price-action negativa potrebbe spingere anche questi investitori, tipicamente più ‘statici’, a una capitolazione, almeno parziale.

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Politica. Elezioni in Assia. Il risultato elettorale in questo Lander conferma, due settimane dopo il voto in Baviera, le difficoltà che I partiti tradizionali devono affrontare anche dove non ci sono condizioni economiche di particolare stress. La discesa nel consenso per CDU (28%) e SPD (20%) risulta comunque, al di là del consueto spin mediatico all’imminente catastrofe politica, assolutamente in linea con le attese plasmate dai più recenti sondaggi, così come il forte progresso dei Verdi (19.5%) e l’ingresso in Parlamento senza exploit particolari della desta più radicale (AfD 12%). Volendo si può infatti leggere nell’esito della consultazione un’indicazione di come l’Europa, pur nel suo travaglio socio-politico, non stia indiscriminatamente cadendo vittima del nazionalismo, con una dinamica che sembra più riconducibile a una maggior frammentazione del centro rispetto a una semplicistica ascesa del populismo. Sicuramente il declino di molti sistemi bipartitici rende alcune dinamiche più complesse (vedi i casi scandinavi e del Benelux) ma non direi si possa affermare che quei cambiamenti repentini e ineluttabili che per molti analisti sono dietro l’angolo, emergano con cristallina chiarezza da un simile risultato elettorale. In ogni caso, anche con i governi di Germania, Francia, Spagna e molti altre nazioni europee solidamente in mano a forze europeiste, l’eccezione italiana non può essere dimenticata e venire naturalmente collegata a dinamiche globali evidenti, specialmente dove il contesto socio-economico presenta delle vulnerabilità, assolute o relative. Sappiamo tutti come ci sia un evidente minimo comun denominatore in fenomeni politici per altri versi differenti come Trump, la Brexit, l’Est Europeo, la visibile perdita di consenso di Macron da livelli iniziali che parevano di quasi intoccabilità. Il vento anti-sistema, nonostante tutto, continua a soffiare forte su gran parte del pianeta come dimostrano la conferma del militare Jair Bolsonaro alla guida del Brasile dopo l’esito (scontato) del secondo turno e il referendum messicano indetto dal neo-presidente populista AMLO che ha visto la popolazione cancellare il progetto, già iniziato, di costruire un nuovo aeroporto a Città del Messico (il peso messicano perde 1.5% circa rispetto alla chiusura di venerdì).

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Elezioni in Assia

 Italia: l’agenzia S&P porta, come da attese, l’outlook a negativo senza ritoccare il rating. Nel corso del weekend non sono emerse evoluzioni significative nel contenzioso tra Roma e Bruxelles sul documento programmatico di bilancio presentato dal governo gialloverde e respinto dall'esecutivo Ue. Al margine Tria ha cercato di gettare acqua sul fuoco del conflitto Draghi-Di Maio, sostenendo la correttezza delle dichiarazioni del governatore. Venerdì sera S&P ha confermato il rating sovrano dell'Italia a BBB, mantenendolo a due gradini di distanza da 'junk', ma abbassando l'outlook a negativo da stabile, con un verdetto che rispecchia l’aspettativa mediana degli osservatori ma che può essere considerato positivo al margine nello scongiurare sviluppi peggiori in tempi brevi. Secondo S&P il deficit/GDP l'anno prossimo salirà a 2.7%, dunque oltre il target fissato dal governo nel documento programmatico di bilancio bocciato da Bruxelles, e non consentirà di mantenere una traiettoria discendente del debito/GDP. L'outlook negativo riflette il rischio che la decisione di aumentare l'indebitamento pubblico pesi sulle banche, le quali potrebbero ridurre il credito all'economia, soffocando l'incipiente ripresa del settore privato, penalizzando la crescita.

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 Sarà un’agenda micro e macro decisamente intensa quella che ci aspetta nella settimana entrante e che ci porterà ai Payrolls di venerdì. Banche centrali: già domani sarà il momento della Bank of Japan (si valuteranno le indicazioni qualitative di Kuroda all’interno di un impianto di misure che ci si attende invariato); giovedì Bank of England (tassi invariati a 0.75%, con il corredo del QIR, il Quarterly Inflation Report) e banca centrale brasiliana (tassi invariati a 6.50%). I membri del FOMC inizieranno il loro periodi di silenzio in vista dell’imminente comitato dell’8 di novembre. Per quanto riguarda i dati economici, l’inflazione salariale US avrà un triplice momento di analisi: oltre ai salari orari medi contenuti nei Payrolls, si guarderà all’attesa rilevazione trimestrale ECI (Employment Cost Index, mercoledì) e all’ISM manifatturiero (e non solo nella sua sotto-componente occupazionale), pubblicato come tutti gli altri PMI manifatturieri globali il primo di novembre. Infine le trimestrali con un’altra settimana zeppa di nomi significativi, non solo a Wall Street, tra cui ricordiamo: brand globali come Facebook (NASDAQ:FB) (martedì), Mastercard, Coca-Cola (NYSE:KO), General Electric (NYSE:GE) (martedì), Pfizer, Sony, Samsung, Airbus, General Motors (NYSE:GM), Apple (giovedì), Starbucks, eBay, Alibaba; aziende petrolifere come Exxon Mobil (NYSE:XOM), Chevron, BP, PetroChina, Repsol (MC:REP) e Royal Dutch Shell; titoli finanziari come AIG, HSBC, BNP Paribas, Macquarie Group e Banco Santander (MC:SAN). Buona settimana

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