Giovedì scorso, l’indicatore di negoziazione dei salari che monitora la crescita delle retribuzioni nell’area euro, tanto atteso dalla Banca Centrale Europea, è aumentato del 4,7% su base annua nel primo trimestre del 2024. Più alto rispetto al 4,5% degli ultimi tre mesi del 2023 e sullo stesso livello di quello del terzo trimestre dello scorso anno. La maggior parte degli economisti aveva previsto un dato stabile o in calo.
Nonostante questa lieve accelerazione è improbabile che ciò faccia desistere la BCE dalla prima riduzione dei tassi nel prossimo appuntamento del 6 giugno, ma sarà una decisione molto più sofferta del previsto e ha già messo pressione sul consiglio direttivo in merito al numero dei tagli da apportare entro il 2024.
Gli investitori hanno ridotto le loro stime sui tagli dei tassi dopo aver visto i dati più elevati rispetto alle attese. Fino alla settimana scorsa davano per certi tre tagli, ma ora stimano solo 62 punti base di allentamento entro il 2024, equivalenti a due tagli di un quarto di punto e una probabilità del 50% di un terzo taglio. In ogni caso, un’ulteriore valutazione sulla crescita della retribuzione dei lavoratori ci sarà il giorno dopo la decisione sui tassi del mese prossimo quando l’Eurostat pubblicherà il dato sulla retribuzione per dipendente, una metrica che il capo economista della BCE Philip Lane ha definito come l’indicatore più completo delle pressioni salariali.
Ciononostante, la combinazione di un'espansione economica più solida e di aumenti salariali più forti restringe il margine di manovra della BCE per ridurre i tassi oltre giugno. Ritorna ad aleggiare il rischio che l’inflazione sia più vischiosa di quanto si pensi e possa attestarsi nell’intervallo del 2%-3% invece di stabilizzarsi intorno al 2%, anche perché, come ha più volte ripetuto la Lagarde, il ritorno all’obiettivo del 2% dipende dall’interazione tra salari, profitti aziendali e produttività. Tre elementi che camminano di pari passo, ma che è difficile mettere d’accordo.