SIENA (Reuters) - L'ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, l'ex direttore generale Antonio Vigni e l'ex responsabile dell'area finanza Gianluca Baldassarri sono stati condannati dal Tribunale di Siena a tre anni e mezzo di reclusione per ostacolo all'autorità di vigilanza nel processo Alexandria.
La sentenza di primo grado, letta dopo quattro ore di camera di consiglio dal presidente del Tribunale senese Leonardo Grassi, sancisce anche per gli imputati cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al risarcimento, che sarà liquidato in separata sede, alla parte civile, Banca d'Italia.
Tutti e tre erano imputati per ostacolo all'autorità di vigilanza, con l'aggravante del reato commesso da società quotata, in relazione alla ristrutturazione del derivato Alexandria e del suo collegamento con l'operazione Btp 2034, operazioni concluse entrambe con banca Nomura come controparte.
I pm avevano chiesto di condannare Mussari a sette anni di reclusione, Vigni e Baldassarri a sei anni, mentre i difensori, che dopo la lettura della sentenza hanno preannunciato il ricorso in appello, avevano chiesto la piena assoluzione per tutti e tre gli imputati.
DIFESE ANNUNCIANO APPELLO. PROCURA "SODDISFATTA"
"Siamo molto sorpresi e ovviamente faremo appello", ha detto ai giornalisti l'avvocato Fabio Pisillo, difensore di Mussari. "Non sono soddisfatto nemmeno quando vinco, figuriamoci quando perdo - gli ha fatto eco il professor Franco Coppi, che assiste Vigni - Faremo sicuramente appello". Infine il legale di Baldassarri, l'avvocato Filippo Dinacci, ha parlato di un "processo senza nessuna consistenza: l'appello è il minimo che si può fare di fronte a una sentenza del genere".
Di segno opposto la reazione della procura di Siena. "L'impianto accusatorio ha retto, sia pure con una rideterminazione della pena - ha commentato a udienza conclusa uno dei pm, Aldo Natalini - Il Tribunale ha riconosciuto che c'è stato un evento di danno in concreto".
IL PROCESSO "ALEXANDRIA", PRIMO AD ARRIVARE A SENTENZA
Il processo concluso in primo grado oggi a Siena è una "costola" del filone di inchiesta principale sull'acquisizione di Antonveneta, nel frattempo trasferito a Milano, e riguardava il presunto occultamento del "mandate agreement" sottoscritto da Banca Mps con Banca Nomura e che, secondo i magistrati, sarebbe stato nascosto alle autorità di vigilanza perché realizzava il collegamento negoziale fra la ristrutturazione del derivato Alexandria e l'operazione Btp 2034.
Sempre su Alexandria, pende ancora un'altra parte dell'inchiesta senese, nella quale i magistrati ipotizzano che la banca giapponese avesse operato una truffa in danno di Montepaschi: la Cassazione ha stabilito che non ci fu usura, ipotesi inizialmente formulata dai magistrati e contestata dai difensori di Nomura, e ha chiesto ai pm di riformulare l'accusa di truffa. Anche questa parte è stata già trasferita a Milano, su richiesta degli stessi magistrati di Siena.
Il processo concluso oggi si era aperto il 26 settembre 2013, è l'unico capitolo rimasto a Siena ed è il primo procedimento arrivato a sentenza dei diversi filoni scaturiti dall'inchiesta su Mps.
Secondo l'accusa il "mandate agreement", cioè l'accordo tra Nomura e Mps per la ristrutturazione di Alexandria, sarebbe stato occultato nella cassaforte dell'ufficio di Vigni. Qui l'avrebbe ritrovato il 10 dicembre 2012 il nuovo direttore generale Fabrizio Viola che lo avrebbe consegnato ai pm senesi.
Secondo la procura, e ora secondo la sentenza di primo grado, gli ispettori della Banca d'Italia sarebbero stati tratti in inganno dalla mancata consegna del documento.
I legali dei tre imputati hanno però sempre ribattuto che il "mandate" sarebbe stato inutile poiché il collegamento fra le due operazioni era desumibile dalla documentazione consegnata agli ispettori.
Inoltre, per le difese, non sarebbe stato nascosto perché conosciuto da molti funzionari della banca e protocollato nell'archivio digitale di Mps. Secondo i legali, quindi, il collegamento tra le due operazioni sarebbe stato perfettamente chiaro agli ispettori di Palazzo Koch. Per questo avevano chiesto l'assoluzione con formula piena.
Baldassarri è stato presente a tutte le udienze, Vigni a quasi tutte, mentre Mussari è intervenuto solo una volta, il 29 gennaio scorso, per essere sentito.
Ora bisognerà attendere altri 90 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.
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SIENA (Reuters) - L'ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, l'ex direttore generale Antonio Vigni e l'ex responsabile dell'area finanza Gianluca Baldassarri sono stati condannati dal Tribunale di Siena a tre anni e mezzo di reclusione per ostacolo all'autorità di vigilanza nel processo Alexandria.
La sentenza di primo grado, letta dopo quattro ore di camera di consiglio dal presidente del Tribunale senese Leonardo Grassi, sancisce anche per gli imputati cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al risarcimento, che sarà liquidato in separata sede, alla parte civile, Banca d'Italia.
Tutti e tre erano imputati per ostacolo all'autorità di vigilanza, con l'aggravante del reato commesso da società quotata, in relazione alla ristrutturazione del derivato Alexandria e del suo collegamento con l'operazione Btp 2034, operazioni concluse entrambe con banca Nomura come controparte.
I pm avevano chiesto di condannare Mussari a sette anni di reclusione, Vigni e Baldassarri a sei anni, mentre i difensori, che dopo la lettura della sentenza hanno preannunciato il ricorso in appello, avevano chiesto la piena assoluzione per tutti e tre gli imputati.
DIFESE ANNUNCIANO APPELLO. PROCURA "SODDISFATTA"
"Siamo molto sorpresi e ovviamente faremo appello", ha detto ai giornalisti l'avvocato Fabio Pisillo, difensore di Mussari. "Non sono soddisfatto nemmeno quando vinco, figuriamoci quando perdo - gli ha fatto eco il professor Franco Coppi, che assiste Vigni - Faremo sicuramente appello". Infine il legale di Baldassarri, l'avvocato Filippo Dinacci, ha parlato di un "processo senza nessuna consistenza: l'appello è il minimo che si può fare di fronte a una sentenza del genere".
Di segno opposto la reazione della procura di Siena. "L'impianto accusatorio ha retto, sia pure con una rideterminazione della pena - ha commentato a udienza conclusa uno dei pm, Aldo Natalini - Il Tribunale ha riconosciuto che c'è stato un evento di danno in concreto".
IL PROCESSO "ALEXANDRIA", PRIMO AD ARRIVARE A SENTENZA
Il processo concluso in primo grado oggi a Siena è una "costola" del filone di inchiesta principale sull'acquisizione di Antonveneta, nel frattempo trasferito a Milano, e riguardava il presunto occultamento del "mandate agreement" sottoscritto da Banca Mps con Banca Nomura e che, secondo i magistrati, sarebbe stato nascosto alle autorità di vigilanza perché realizzava il collegamento negoziale fra la ristrutturazione del derivato Alexandria e l'operazione Btp 2034.
Sempre su Alexandria, pende ancora un'altra parte dell'inchiesta senese, nella quale i magistrati ipotizzano che la banca giapponese avesse operato una truffa in danno di Montepaschi: la Cassazione ha stabilito che non ci fu usura, ipotesi inizialmente formulata dai magistrati e contestata dai difensori di Nomura, e ha chiesto ai pm di riformulare l'accusa di truffa. Anche questa parte è stata già trasferita a Milano, su richiesta degli stessi magistrati di Siena.
Il processo concluso oggi si era aperto il 26 settembre 2013, è l'unico capitolo rimasto a Siena ed è il primo procedimento arrivato a sentenza dei diversi filoni scaturiti dall'inchiesta su Mps.
Secondo l'accusa il "mandate agreement", cioè l'accordo tra Nomura e Mps per la ristrutturazione di Alexandria, sarebbe stato occultato nella cassaforte dell'ufficio di Vigni. Qui l'avrebbe ritrovato il 10 dicembre 2012 il nuovo direttore generale Fabrizio Viola che lo avrebbe consegnato ai pm senesi.
Secondo la procura, e ora secondo la sentenza di primo grado, gli ispettori della Banca d'Italia sarebbero stati tratti in inganno dalla mancata consegna del documento.
I legali dei tre imputati hanno però sempre ribattuto che il "mandate" sarebbe stato inutile poiché il collegamento fra le due operazioni era desumibile dalla documentazione consegnata agli ispettori.
Inoltre, per le difese, non sarebbe stato nascosto perché conosciuto da molti funzionari della banca e protocollato nell'archivio digitale di Mps. Secondo i legali, quindi, il collegamento tra le due operazioni sarebbe stato perfettamente chiaro agli ispettori di Palazzo Koch. Per questo avevano chiesto l'assoluzione con formula piena.
Baldassarri è stato presente a tutte le udienze, Vigni a quasi tutte, mentre Mussari è intervenuto solo una volta, il 29 gennaio scorso, per essere sentito.
Ora bisognerà attendere altri 90 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.