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Cosa significano gli arresti di Bitfinex per le criptovalute

Pubblicato 15.02.2022, 15:02
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Di Geoffrey Smith

Investing.com – L’arresto di due persone collegate con uno dei crimini finanziari più noti degli ultimi anni dovrebbe essere una pietra miliare nella lunga marcia delle criptovalute nel mainstream economico globale.

In realità, le cose non sembrano così semplici.

A prima vista, gli arresti sono una rivendicazione di ciò che i fan delle cripto – specialmente quelli che cercano di costruire ecosistemi di attività legittima sulle cripto – chiedono da tempo: che la trasparenza della blockchain sottostante alle cripto la rende per certi versi un competitor ancora superiore al denaro stampato dalle banche centrali; ciò che crea la blockchain digitale è a prova di bomba, dunque merita la fiducia.

È una vittoria per tutti coloro che credono che il Bitcoin possa emergere dal mondo delle transazioni criminali per il traffico di droga o di armi in cui ha trascorso gli anni dell’adolescenza.

Per lo stesso motivo (nessun gioco di parole), è un colpo per coloro che hanno abbracciato Bitcoin per la sua presunta capacità di eludere la cattura da parte dello Stato e tutti i suoi organi di repressione finanziaria, compreso il sistema finanziario. L’appeal che ha avuto su gran parte dei primi che l’hanno adottato scompare se alla fine non offre un nascondiglio dai federali. Ma nel quadro generale, questo non è che un problema minore: il potenziale a lungo termine della crittografia dipende da una qualche forma di adozione di massa, che è impossibile senza la fiducia di massa, sostenuta dalla regolamentazione del governo che è applicata dalle agenzie statali preposte. I libertari estremi che speravano di fondare un nuovo sistema finanziario più libero e anarchico non saranno certo contenti.

Questa è la buona notizia. La cattiva notizia è che c’è da guadagnare la fiducia del pubblico più che dimostrare che la blockchain funziona. Le pratiche commerciali e la probità di coloro che vendono servizi criptati devono anche soddisfare certi standard, in particolare su funzioni di base come la custodia, e le carenze qui rimangono sostanziali.

BlockFi, una società che offre prestiti in dollari contro garanzie in Bitcoin,  ha accettato di pagare 100 milioni di dollari lunedì per rispondere alle accuse della Securities and Exchanges Commission di non aver registrato tali prestiti come titoli. I nuovi clienti dovranno sottoscrivere termini e condizioni molto diversi come risultato.

Ma queste formalità sono meno dannose delle rivelazioni emerse nel corso dell’indagine. Sembra, per esempio, che BlockFi non abbia raccolto alcuna garanzia contro l’80% dei prestiti che aveva fatto a clienti istituzionali. Se questo tipo di incuria è una pratica comune, allora è difficile vedere il settore sopravvivere a qualsiasi correzione importante nelle criptovalute senza un crollo imbarazzante e molto caro da qualche parte.

Allo stesso tempo, potremo almeno assistere allo spettacolo del Dipartimento della Giustizia e Bitfinex che combatteranno per capire chi riuscirà ad ottenere i 3,6 miliardi di dollari in Bitcoin recuperati dall’incosciente Ilya Lichtenstein e la sua partner Heather Morgan (che, va notato, sono state accusate solo di aver tentato di riciclare il denaro rubato, non del furto in sé).

Bitfinex ha confermato che vuole che il DoJ restituisca il prima possibile quella che considera una sua proprietà rubata, affermando che utilizzerà l’80% del ricavato per riscattare i token LEOu/BTC (‘Leo’) che aveva emesso ai clienti nell’ambito di un piano di indennizzo nel 2016.

I token Leo su Bitfinex sono quasi raddoppiati di valore sulla notizia degli arresti e registrano ancora +20% rispetto a subito prima.

Tuttavia, la storia è contro Bitfinex. Il DoJ difficilmente si affretterà a restituire una simile somma ad un’organizzazione la cui unica informazione su alcuni clienti è un indirizzo email, un’organizzazione che ha già dovuto pagare per chiudere le accuse di aver fornito servizi di transazione illegali per due interi anni dopo l’attacco hacker del 2016.

Secondo il Los Angeles Times, i funzionari del DoJ intendono avviare un processo perché le vittime possano reclamare le criptovalute rubate. La richiesta che i clienti dimostrino l’origine legale dei loro fondi è, ovviamente, molto probabile e, in alcuni casi, più che un piccolo inconveniente.

Per chi riuscirà a saltare attraverso i cerchi del DoJ, però, c’è in serbo una ricompensa enorme. I Bitcoin rubati nel 2016 valevano appena 70 milioni di dollari allora. Oggi, valgono oltre 50 volte di più. Ma forse la domanda più importante è: quanto varranno quando i fondi saranno resi disponibili, fra mesi o anni, quando la giustizia avrà finalmente fatto il suo corso?

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