Versione originale di Laura Sánchez – traduzione a cura di Investing.com
Investing.com - Domani ci sarà l'incontro chiave della settimana. La Federal Reserve statunitense, che inizia la sua riunione oggi, annuncerà la decisione sui tassi di interesse alle 20:00 ora italiana. Più tardi, alle 20:30, sarà la volta della conferenza stampa del presidente dell’isituto centrale, Jerome Powell.
Secondo lo strumento di previsione dei tassi della Fed realizzato da Investing.com, solo il 60% del consenso prevede una riduzione dei tassi di interesse di 25 punti base (quando in estate questa possibilità aveva superato il 90%), mentre il 40% stima che l’istituto li manterrà invariati. Inoltre, la crisi generata in Medio Oriente dopo l'escalation dei prezzi del petrolio ieri dopo un attacco a una raffineria saudita potrebbe far pagare pedaggio ai piani delle banche centrali.
"Si ritiene che una crescita così elevata del prezzo del petrolio greggio potrebbe far venire ulteriori dubbi alla Federal Reserve, già molto divisa. Tuttavia, comprendiamo che se l'istituto non toccasse i tassi, il mercato crollerebbe e dovrebbe tenerne conto", dice José Luis Cárpatos, CEO di Serenity Markets.
"In attesa di questo importante appuntamento non sarebbe sorprendente se oggi si dovesse assistere ad un'altra giornata di 'rilassata volatilità'. Lo S&P 500 è attualmente nella terra di nessuno, pronto ad attaccare i massimi storici o a cavalcare nella direzione opposta", aggiunge Cárpatos.
Da Renta 4 ci ricordano che "c'è molta incertezza sulla domanda associata al ciclo del petrolio, quindi dubitiamo che ci sarà un aumento sostanziale e sostenuto del prezzo, anche se siamo consapevoli che questo sarebbe lo scenario peggiore per le banche centrali: crescita molto ridotta con inflazione elevata".
Sergio Ávila, analista IG: "la probabilità di un tagli dei tassi diminuisce, perché un aumento del prezzo del petrolio può esercitare una pressione al rialzo sull'inflazione".
Remi Olu-Pitan, gestore multi-asset di Schroders (LON:SDR), spiega che "nell'ultimo anno, il calo dei prezzi del petrolio ha contribuito a ridurre l'inflazione, che a sua volta ha permesso alle banche centrali di tutto il mondo di intraprendere una politica monetaria più accomodante. Tuttavia, un'escalation delle tensioni in Medio Oriente porterebbe ad un aumento dei prezzi del petrolio, provocando una pressione al rialzo dell'inflazione. In questo scenario, le banche centrali sarebbero costrette a spostare la loro attenzione dallo stimolo della crescita economica al controllo dell'inflazione, il che a sua volta sarebbe doloroso per i mercati azionari”.