MILANO (Reuters) - L'industria e i servizi italiani hanno continuato ad arrancare nel 2015, senza riuscire a recuperare i livelli di fatturato pre crisi anche per l'affievolirsi del traino dall'estero, ma una crescita degli investimenti e un recupero di competitività sembrano offrire segnali incoraggianti per il futuro, pur in un contesto occupazionale che non riesce a decollare.
A un calo delle vendite che nel 2015 si è attestato all'1,3% (con un magro +0,5% dalle esportazioni e una contrazione del 2,2% per il mercato interno) si affianca un +8,3% di crescita dei margini, ancora però molto lontani (-32%) rispetto ai massimi del 2007. Dal picco del 2008 il fatturato è giù del 4,2%.
E' ancora un quadro a luci e ombre quello delineato dall'analisi annuale condotta dall'Ufficio Studi di Mediobanca (MI:MDBI) sulla base dei dati cumulativi di 2.060 società italiane industriali e terziarie di grande e media dimensione (il 50% del fatturato industriale e manifatturiero, il 38% di quello di trasporti e Gdo).
Lo studio prende in esame le sole attività esercitate in Italia, escludendo le produzioni delle controllate estere. In pratica, l'indagine considera circa un terzo della "grande" manifattura a proprietà domestica con sede in Italia, che esporta intorno ai due terzi del proprio fatturato.
Accelera la ripresa degli investimenti (+7,9%), guidata dal +4,8% della manifattura ma soprattutto da un boom nel terziario (+26,4%) al traino delle tlc. Per il secondo anno cresce la competitività manifatturiera (+3,6%), grazie all'aumento della produttività (+6%) superiore alla crescita del costo del lavoro (+2,8%).
GIU' PUBBLICO, BENE MANIFATTURA CON FIAT CHRYSLER
Se dai dati complessivi si passa a esaminare lo spaccato dei numeri, emerge un forte calo dei ricavi delle imprese pubbliche (-8,9% nel 2015, affossate da petrolio, energia elettrica e gas)mentre i privati (+0,9%) sono trainati dalla manifattura (+3,4%), soprattutto quella di grandi dimensioni che risente dell'impatto positivo del gruppo Fiat Chrysler (MI:FCHA).
Boom dei contractor di opere pubbliche, che mettono a segno un +6,7% grazie soprattutto ai cantieri esteri. La spinta dal fatturato oltre confine si fa sentire anche sulla manifattura mentre le vendite estere scendono del 13,5% per il settore pubblico. Pochi si salvano sul mercato domestico, tra cui la manifattura (+2,2%).
Anche a livello di redditività i contractor si distinguono: se le 2.060 imprese dello studio dal 2007 hanno visto i margini scivolare del 32%, le società di opere infrastrutturali hanno segnato un balzo del 97,7%. In tenuta anche il 'made in Italy' (+2,8% dal 2007), con margini in aumento di oltre il 93% per pelli e cuoio. Performance di rilievo anche per alimentare, chimico e cartario, mentre sono crollati i margini di stampa ed editoria (-95,7%), prodotti per l'edilizia (-93,1%) e impiantistica (-84,8%).
Per quanto riguarda il contesto occupazionale (2015 sostanzialmente stabile rispetto al 2014), la crisi ha accelerato la trasformazione produttiva e chi ne ha pagato il conto è stata soprattutto la base operaia(-8% tra 2008 e 2015 a fronte di -1,4% dei 'colletti bianchi'). Chi non perde il lavoro riceve un aumento del potere d'acquisto dei salari, +0,6% dal 2006. Il costo del lavoro delle imprese pubbliche resta di oltre il 20% superiore ai privati.