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Come evitare la guerra delle valute

Pubblicato 08.10.2010, 12:17
Aggiornato 08.10.2010, 12:20

Siamo alla vigilia di una guerra valutaria, come sostiene la stampa finanziaria interpretando le mosse recenti e future delle banche centrali? Forti oscillazioni delle monete producono tensioni e conseguenze inaspettate. Ma se Fed, Bce e Banca del Giappone procedessero contemporaneamente a un nuovo giro di 'quantitative easing' per favorire le esportazioni, il problema non si porrebbe. Più difficile la posizione dei paesi emergenti che rischiano inflazione, bolle e ritorsioni commerciali. Dovrebbero perciò puntare a rafforzare la domanda interna di prodotti manifatturieri.

Se dobbiamo credere alla stampa finanziaria, il mondo è alla vigilia di una guerra valutaria. I banchieri centrali hanno impugnato il bazooka e non faranno prigionieri nel tentativo di indebolire le loro monete. La Fed si prepara a un nuovo giro di quantitative easing. Se il risultato sarà un dollaro più debole, capace di rilanciare le esportazioni Usa, nessuno del Fomc, il Federal Open Market Committee, se ne lamenterà. La Banca del Giappone, turbata dalla concomitanza di una moneta forte e di un'economia debole, è già intervenuta nel mercato dei cambi per spingere al ribasso lo yen.

La Bce ha allungato il termine delle linee di finanziamento speciali per le banche ed è pronta a incrementare gli acquisti di titoli di Stato se la crisi del debito sovrano dell'Europa dovesse aggravarsi. La Cina continua a tergiversare con l'apprezzamento del renminbi. Brasile e India hanno visto salire le loro monete a livelli di pericolo e potrebbero sentirsi obbligati a prendere alcune contromisure.

Le ripercussioni potrebbero essere devastanti. Il Congresso americano vede negati agli Stati Uniti i benefici di una moneta più competitiva e minaccia la Cina con una sorta di tariffa. La Cina, per parte sua, ha già lanciato un avvertimento agli americani imponendo un dazio sulle esportazioni di pollame degli Stati Uniti. Se si dovesse perdere il controllo di questa pericolosa dinamica, a cadere potrebbe l'intero sistema commerciale globale.

UN PERICOLO REALE?

La situazione è davvero così preoccupante? Sì e no. Sì, perché forti oscillazioni delle monete causano tensioni e hanno conseguenze inaspettate. Tuttavia, non è necessario arrivare a forti oscillazioni nei tassi di cambio tra dollaro, euro e yen. Stati Uniti, Giappone ed Europa hanno tutti economie deboli e tutti trarrebbero beneficio da un giro di quantitative easing. Se le loro banche centrali agiscono simultaneamente, non c'è alcuna ragione per cui gli investitori debbano preferire una valuta alle altre. Il problema è che Fed, Boj e Bce non hanno indicato quando hanno intenzione di muoversi e che tipo di alleggerimento intendono adottare.

Se la Fed si muove, ma la Bce esita, il dollaro cadrà nei confronti dell'euro. Quando la Bce vedrà indebolirsi l'economia europea, seguirà le orme della Fed, ma allora l'oscillazione monetaria di partenza si invertirà, mettendo in una posizione difficile gli investitori che decidessero di cavalcare il trend. Sono proprio queste le circostanze nelle quali la volatilità delle monete demoralizza i mercati finanziari e alimenta le tensioni commerciali. In più, il timore che le tre banche centrali siano a corto di idee su come utilizzare gli acquisti di attività per stimolare la domanda interna genera il sospetto che non sia rimasta altra strada che spingere al ribasso la moneta con l'obiettivo di far crescere la domanda estera. E in effetti questo potrebbe portare a una guerra valutaria che nessuna delle economie del G3 può vincere.

Ma non è necessario che le cose vadano in questo modo. Se gli acquisti di attività specifiche riescono a far crescere la domanda, allora tutte le economie del G3 possono esportare di più l'una verso l'altra. Per questo, le tre banche centrali dovrebbero indicare esattamente che cosa acquisteranno e spiegare attraverso quali canali quegli acquisti stimoleranno la domanda interna. Coloro che temono che Fed, Boj e Bce abbiano intenzione di attuare politiche volte a “danneggiare il vicino”, si sentiranno rassicurati. Non è il momento delle ambiguità.

DANNI PER I MERCATI EMERGENTI

Ma niente di tutto ciò risolverà il dilemma che si pone ai paesi emergenti. Se, sull'esempio di quanto fatto in passato dalla Cina, seguiranno le monete dei G3 nel ribasso, rischiano inflazione, bolle e ritorsioni commerciali. Se, come il Brasile e l'India, permetteranno alle loro valute di apprezzarsi, rischiano di danneggiare la propria industria manifatturiera che dipende fortemente dalle esportazioni. E poiché il manifatturiero è il luogo dove avviene il trasferimento tecnologico e si attuano fenomeni di “learning by doing”, la loro capacità di crescita sarà ridotta.

Ci potrebbe essere la tentazione di limitare i danni causati dall'apprezzamento della valuta adottando un sussidio generalizzato alle esportazioni. Non solo, però, non sarebbe conforme alle regole del Wto, ma provocherebbe anche ritorsioni. E come ogni economista internazionale degno di questo nome sa, i sussidi alle esportazioni (insieme ai dazi sulle importazioni) sono esattamente equivalenti a una svalutazione monetaria. L'adozione di sussidi alle esportazioni significherebbe che i paesi emergenti sono impegnati in un apprezzamento della moneta in linea teorica, ma non nei fatti.

Una soluzione migliore sarebbe quella di incoraggiare la domanda interna di prodotti manifatturieri. Per esempio, si potrebbe farlo come in Giappone, attraverso i crediti di imposta per l'acquisto di elettrodomestici. Unito a un ulteriore apprezzamento della valuta, lascerebbe immutata la domanda di prodotti manifatturieri.

Meglio ancora sarebbe individuare esattamente quali sono i settori manifatturieri nei quali si concentrano le ricadute tecniche e tecnologiche: non accade per tutti allo stesso modo e soltanto quelli che generano gli effetti favorevoli dovrebbero essere ammessi al trattamento fiscale privilegiato. Ricorda da vicino la politica industriale? Ma mantenere basso il tasso di cambio per favorire l'attività manifatturiera che cos'è se non una forma di politica industriale? Forse, ora che questa sua versione relativamente rozza ha fatto risorgere lo spettro della guerra valutaria, è il momento di prendere in considerazione un'alternativa più raffinata.

Autore: Barry Eichengreen - LaVoce.info

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