Idee di investimento – Azioni – 26 marzo 2018

Pubblicato 26.03.2018, 11:35
Idee di investimento – Azioni – 26 marzo 2018
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Prevale ancora uno scenario leggermente favorevole all’esposizione al rischio (azioni, immobili, materie prime) con opportunità in India e nei consumi globali

Euro forte, crescita economica meno brillante e instabilità politica diffusa rendono il Vecchio Continente e, a cascata, le azioni Europa meno attraenti all’estero. Infatti , sebbene anche i più recenti report di diverse case d’investimento continuino a ritenere le azioni Europa convenienti, dopo la fiammata di gennaio, gli indici azionari della zona euro (Eurostoxx) e dell’Europa (Stoxx 600) esprimono performance da inizio anno inferiori a quelle di Wall Street (indice S&P 500). Per capire questa apparente contraddizione tra le valutazioni analitiche e quelle dei mercati, nell’articolo “Azioni Europa, i tre fattori che allontanano gli investitori esteri” si suggerisce di guardare a chi alimenta la domanda e l’offerta di titoli azionari sui mercati internazionali. Si scopre che a muovere i flussi sono principalmente gli investitori istituzionali (fondi pensione, asset manager, ETF, fondi sovrani, casse di previdenza, hedge fund, private equity) e, all’interno di questi quelli di matrice anglosassone (USA, Gran Bretagna e Australia) recitano il ruolo principale. E proprio questo loro peso specifico rende le loro convinzioni sull’Europa determinanti per i flussi complessivi netti (la differenza tra domanda e offerta di titoli). Ebbene stanno emergendo i tre motivi forti indicati prima che, dal loro punto di vista, pendono a sfavore dell’investimento in Europa.

IL RISCHIO DI UN RALLENTAMENTO CINESE

Più in generale, in uno scenario di politiche monetarie globali meno accomodanti, le azioni risulterebbero fortemente penalizzate non tanto da una preoccupazione circa un possibile surriscaldamento dell’economia statunitense. “È tuttora un rischio, ma non è la ragione principale per la quale non siamo attirati dalle prospettive a breve termine per le azioni” fanno sapere nell’articolo “Azioni, perché la prudenza è dovuta al rallentamento della crescita cinese” gli esperti di Pictet Asset Management il cui primo pensiero è invece la Cina. Le autorità di Pechino stanno puntando ad una trasformazione dell’economia del paese da un modello incentrato sulle esportazioni (prevalentemente a basso valore aggiunto) ad un modello basato sui consumi interni e sulla trasformazioni dei beni a più alto valore aggiunto. Ma per tentare di sgonfiare la bolla del credito hanno messo in campo restrizioni monetarie che stanno provocando il rallentamento della crescita cinese.

L’INDIA È DECORRELATA DAI MERCATI

Sempre in Asia, un altro colosso sembra invece raccogliere consensi: l’India. Le riforme strutturali stanno portando la sua crescita su un percorso autosufficiente e un’economia più brillante sta incrementando le aspettative sugli utili. “Riteniamo che l’India sia meno correlata al ciclo globale rispetto alla maggior parte degli altri paesi emergenti e la sua resilienza interna è alla base della nostra fiducia. Il mercato azionario non è economico visto che il rapporto prezzo/utili (p/e) stimati per quest’anno si attesta a 17,5. Tuttavia rimane uno dei nostri mercati preferiti nel mondo emergente grazie alle sue forti prospettive di crescita e alla relativamente bassa dipendenza dal commercio globale” specifica nell’articolo “India, un airbag contro potenziali shock commerciali” Richard Turnill, BlackRock’s Global Chief Investment Strategist.

SCENARIO FAVOREVOLE AL RISCHIO

In ogni caso, sembra comunque prevalere un giudizio relativamente più favorevole agli investimenti più rischiosi. “Il nostro scenario economico positivo di reflazione per il 2018, unito a previsioni favorevoli sugli utili e a un modesto rischio di recessione, conferma che i mercati avversi al rischio restano poco supportati e, di conseguenza, poco attraenti dal punto di vista degli investitori” specifica nell’articolo “Materie prime, immobili e azioni: come difendersi dopo un trimestre “lento”” il team multi-asset Columbia Threadneedle Investments pur ammettendo che non si possa escludere affatto il rischio di nuove crisi ‘accidentali’ o errori di politica monetaria “Non ci resta dunque che preferire le azioni, le materie prime e gli immobili rispetto ai titoli di Stato nominali dei paesi core e quelli indicizzati all’inflazione, mantenendo un posizionamento neutrale su credito (obbligazioni societarie, ndr) e liquidità” puntualizza il team che, nell’ambito azionario predilige in modo netto la Borsa del Giappone, i mercati emergenti asiatici e l’Europa, ognuno dei quali presenta un’elevata dipendenza dalla reflazione globale in atto. “Il nostro recente lavoro si è spostato sull’analisi di queste posizioni, con un’attenzione particolare alle azioni europee e giapponesi” conclude il team.

NUOVI E VECCHI CONSUMI

Infine, come ha modo di argomentare nell’articolo “Consumi globali, ecco come sfruttare un trend in continua crescita” Aneta Wynimko, gestore del fondo FF Global Consumer Industries Fund, i consumi globali dovrebbero continuare a crescere più velocemente del PIL nominale grazie ai consumatori di fascia alta, che continuano a beneficiare del quadro macroeconomico favorevole, e alle crescenti classi medie dei mercati emergenti. “Fra le società nel settore dei beni di consumo ve ne sono di ben posizionate per costruire marchi dotandoli di un pricing power che genera tassi di rendimento strutturalmente elevati. Le società più grandi, in un contesto sempre più complesso, dispongono inoltre di prodotti innovativi, attraggono i migliori talenti e beneficiano quindi del circolo virtuoso di crescita dei loro marchi su scala globale. I marchi più ambiti dovrebbero essere i principali beneficiari di questa dinamica” specifica la manager di Fidelity che, inoltre, sottolinea anche i cambiamenti in atto nel settore dei consumi: la migrazione dai negozi fisici all’e-commerce, con la relativa crescita del commercio da dispositivi mobili, una maggiore attenzione alla salute da parte dei consumatori, la generazione dei millennial sempre più oculata nella selezione dei brand, mentre la “sharing economy” sta mettendo in crisi le nozioni tradizionali sui clienti.



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