Negli Stati Uniti la crisi finanziaria sembra ormai archiviata. Non si può dire lo stesso per l'Europa, che ha affrontato il problema affidandosi a una serie di false speranze. Mentre gli stress test sulle banche americane sono serviti a riconquistare subito la fiducia degli investitori, quelli condotti sugli istituti europei hanno prodotto risultati deludenti perché è mancata la necessaria trasparenza. Ma soprattutto perché il processo non ha innescato la ricapitalizzazione e ristrutturazione delle banche più deboli. Mantenendo così la fragilità del sistema.
Il caos seguito al fallimento di Lehman Brothers, due anni fa, ha colpito con pari forza i sistemi finanziari di Stati Uniti ed Europa, ma le conseguenze non sono state identiche. Negli Stati Uniti sono scomparse molte grandi istituzioni finanziarie, in parte a causa di più stringenti requisiti di trasparenza, portando a una immediata ridefinizione del panorama finanziario. Nella primavera del 2009, stress test pubblici hanno costretto le banche più deboli a ricapitalizzarsi cosicché le istituzioni alla base del sistema finanziario americano hanno immediatamente iniziato a riconquistare la fiducia degli investitori, nonostante le tante difficoltà che ancora si profilavano le più piccole banche locali. Gli Stati Uniti devono affrontare importanti sfide economiche e sociali, ma la crisi finanziaria sembra essersi conclusa da più di un anno.
STRESS TEST All'EUROPEA
Al contrario, l'Unione Europea nel suo complesso ha affrontato la crisi con una serie di false speranze. All'inizio sembrava che le banche europee potessero cavalcare l'onda della fiducia indotta dagli stress test americani: i corsi azionari si sono apprezzati e alcune banche ne hanno approfittato per aumentare significativamente la quantità di capitale. Tuttavia, si trattava generalmente delle banche più sane, non di quelle più danneggiate dalla crisi e che più avevano bisogno di nuovo capitale. Le autorità di vigilanza europee hanno condotto propri stress test nel settembre 2009, ma con pochi effetti perché nessun risultato, o quasi, è stato reso pubblico.
Con lo scoppio della crisi di bilancio della Grecia, all'inizio del 2010, è diventato impossibile continuare a nascondere la persistente fragilità delle banche europee. A quel punto, i politici si sono resi conto che i loro sistemi bancari erano troppo deboli per sostenere l'impatto di un default greco. Tanto che ormai è largamente riconosciuto che questo è stato uno dei fattori più importanti che ha portato prima alla decisione di salvare la Grecia e poi di costituire un fondo a cui possano ricorrere tutti i paesi della area euro.
In uno scatto di fermezza, i leader europei hanno concordato nel giugno 2010 di rendere pubblici i risultati del successivo round di stress test. I dati pubblicati il 23 luglio rappresentano un notevole passo in avanti: il comitato ristretto che da Londra ha coordinato il processo è riuscito a convincere tutte le 91 banche sotto esame a rendere pubblica in dettaglio la loro esposizione al rischio sovrano e la Spagna ha scelto volontariamente di essere ancora più trasparente. Ancora una volta, l'operazione sembrava funzionare e la reazione iniziale dei mercati è stata cautamente positiva. Ma presto sono diventati evidenti gravi difetti: i numeri, lasciati alla discrezionalità delle autorità nazionali, forse tentate di addolcire la situazione, non erano stati ricontrollati o sottoposti a revisione.
Il parametro scelto per misurare la forza del capitale – il 'tier-1'- era discutibile e alcune stime sui profitti erano probabilmente troppo ottimistiche. Spagna a parte, non è stata indicata l'esposizione a rischi diversi da quelli del debito sovrano. Poco credibile è stata la conclusione dell'esercizio di stress test, che 3,5 miliardi di euro fossero sufficienti a ricapitalizzare in modo adeguato il sistema.
Gli avvenimenti successivi hanno ulteriormente minato la fiducia. Il 7 settembre il Wall Street Journal ha evidenziato gravi contraddizioni tra i risultati degli stress test e le esposizioni ai debiti sovrani rese pubbliche indipendentemente dalla Bank for International Settlements di Basilea, e basate su dati forniti dalle stesse autorità nazionali che avevano condotto i test. I politici hanno attribuito le discrepanze a motivi tecnici, ma non sono stati capaci di spiegarli in modo da rassicurare gli investitori. Alcune settimane più tardi, il multimiliardario salvataggio di Allied Irish Banks, che pure aveva superato con successo lo stress test di luglio, ha finito col trasformare in una comica l'intero processo.
UN SISTEMA ANCORA FRAGILE
Ma la questione più importante è che gli stress test non sono riusciti a innescare le necessarie ricapitalizzazione e ristrutturazione delle banche europee in difficoltà. Proprio come era accaduto nel 2009, le banche che hanno recentemente raccolto capitale fresco, come Deutsche Bank o Standard Chartered, rientrano tra quelle forti e non tra quelle deboli.
In Germania, alcune Landesbanken, controllate dallo Stato, sono universalmente considerate non solvibili, ma la riorganizzazione va avanti a passo di lumaca. Jürgen Stark, un membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, avrebbe recentemente affermato che il ben più importante settore delle casse di risparmio tedesche è esso stesso in generale sotto-capitalizzato. In Spagna la banca centrale ha promosso fusioni tra le casse di risparmio, tuttavia non è chiaro se gli istituti che ne sono il risultato siano forti a sufficienza. In molti paesi, l'obiettivo delle autorità sembra essere ancora quello di nascondere le cattive notizie piuttosto che risolvere i problemi.
La probabile conseguenza della paralisi è un sostanziale ostacolo alla crescita, come nel 'decennio perduto' del Giappone. Inoltre, nel caso di un'ulteriore turbolenza sul fronte del debito sovrano, l'Unione Europea potrebbe doversi confrontare con quella stessa fragilità del sistema bancario che in primavera ha così drasticamente ridotto le possibili scelte politiche. Quello che è necessario resta immutato: un processo di analisi che identifichi chiaramente la eventuale sottocapitalizzazione delle più importanti istituzioni finanziarie europee e porti a un'adeguata ricapitalizzazione e ristrutturazione.
La buona notizia è che la creazione di un'Autorità bancaria europea, operativa da gennaio 2011, in linea di principio fornisce le possibili basi per un processo centralizzato di valutazione in tutta Europa, ma non è sufficiente. Una soluzione per il problema bancario dell'Unione Europea richiederebbe un livello di consapevolezza e di impegno politico che è stato finora tristemente assente, in particolare nei maggiori paesi dell'area euro.
Autore: Nicolas Véron - LaVoce.info