di Gavin Jones
ROMA (Reuters) - Nel maggio dello scorso anno l'allora ministra dell'Agricoltura Teresa Bellanova ha annunciato in diretta tv tra le lacrime un decreto che dava la possibilità a migliaia di migranti irregolari di lavorare legalmente nelle campagne e come badanti.
Tuttavia, a un anno di distanza, la sanatoria non ha fatto quasi alcun progresso, vittima della tortuosa burocrazia italiana e delle difficoltà del Paese a integrare chi arriva da irregolare.
Frank Agbontaen, cittadino nigeriano di 30 anni, è in Italia dal 2016. Come altre migliaia di persone, è arrivato su un barcone dalla Libia.
Dopo essere sopravvissuto per anni grazie a lavori occasionali e pochi spiccioli racimolati in cambio della pulizia di marciapiedi, ha ricevuto un'offerta di lavoro come addetto alle pulizie domestiche a Roma nell'ambito delle nuove norme sulle regolarizzazioni.
Lo scorso luglio Agbontaen ha presentato una richiesta per l'ottenimento dell'agognato permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ma da allora non ha ricevuto alcuna notizia.
"Ero fiducioso ... Pensavo che si sarebbe risolto tutto in poche settimane o mesi", ha detto a Reuters. "È molto frustrante, prego Dio ogni giorno di ricevere notizie positive".
Ma non si tratta di un caso isolato. Al 15 aprile, a Roma nessuno degli oltre 16.000 richiedenti ha ottenuto un permesso di soggiorno. A Milano su oltre 26.000 richieste appena 441 persone sono riuscite a ottenerne uno, come mostrano i dati di "Ero Straniero", associazione che si batte per i diritti dei migranti.
In Italia il mestiere del bracciante è spesso svolto da cittadini africani o indiani, mentre il ruolo di badanti è affidato in molti casi a donne dell'Est Europa.
In entrambi i settori dilagano la piaga del lavoro nero e dello sfruttamento e l'ex ministro Bellanova, lei stessa un'ex bracciante, aveva promosso la norma come un modo per rendere "gli invisibili...meno invisibili".
"Queste persone avranno un permesso di soggiorno e li aiuteremo a riconquistare la loro identità e la loro dignità", aveva detto Bellanova.
L'introduzione della misura era vista come fortemente necessaria per garantire i raccolti agricoli e la cura delle persone anziane mentre l'Italia si trovava alla fine della prima ondata dell'epidemia di coronavirus.
DOCUMENTI E CONTRIBUTI
A metà aprile, tuttavia, delle 220.000 persone che in tutto il Paese hanno presentato richiesta per l'ottenimento del permesso al ministero dell'Interno, appena 11.000 -- il 5% del totale -- ne hanno ottenuto uno, secondo i dati di Ero Straniero.
Un portavoce del ministero dell'Interno ha detto a Reuters che le cifre aggiornate al 31 marzo mostrano che il 14% delle richieste è stato approvato dal ministero, che ha autorizzato le questure ad emettere il permesso di soggiorno. Il portavoce non ha però quantificato quanti permessi siano stati finora effettivamente rilasciati.
Appena l'1,5% delle richieste è stato respinto dal ministero, l'84% non è stato elaborato.
Gli scarsi progressi sono emblematici di un problema cronico dell'Italia: misure annunciate con orgoglio dai politici ma in seguito realizzate male o non realizzate affatto.
Si tratta di un problema di cui il presidente del Consiglio Mario Draghi è ben consapevole mentre tenta di snellire la burocrazia statale per permettere all'Italia di spendere gli oltre 200 miliardi di euro dei fondi dell'Unione europea per la ripresa.
La presentazione della domanda prevede che vengano caricati online diversi documenti sia del migrante che del futuro datore di lavoro, che deve inoltre versare un contributo di 500 euro non rimborsabile.
Dopo l'esame della domanda, dipendente e datore di lavoro vengono convocati per un colloquio. Se tutto è in ordine, al dipendente viene fornito un documento pre-compilato che dovrà inviare alla polizia per ottenere il permesso.
Ad aprile, alla richiesta di spiegare al Parlamento perché fossero state processate così poche domande, il governo ha menzionato "la complessità degli adempimenti procedurali", con "plurime fasi endo-procedimentali".
Le procedure coinvolgono prefetture, polizia, ispettorato del lavoro e Inps.
Il decreto del maggio 2020 prevedeva l'assunzione di 800 lavoratori a tempo determinato che aiutassero a esaminare le richieste. I primi sono stati assunti solo nel marzo di quest'anno. Il portavoce del ministero dell'Interno ha detto che ora tutti gli 800 lavoratori sono stati assunti e che 721 di loro stanno attualmente lavorando.
Le misure di distanziamento sociale richieste dal Covid hanno contribuito a rallentare i progressi, secondo il governo, poiché è stato necessario ridurre il numero delle persone da convocare per i colloqui.
'TI FA IMPAZZIRE'
La pagina web del Viminale mostra che la richiesta di Agbontaen è in attesa di approvazione da parte dell'ispettorato del lavoro territoriale, che Reuters ha provato per diversi giorni a chiamare per ottenere informazioni. Nessuno ha risposto al telefono.
Diversamente da quanto accaduto negli altri Paesi ex-potenze coloniali come Gran Bretagna e Francia, la presenza di migranti era rara in Italia fino agli anni '80, quando sono iniziate le ondate dall'Africa e dall'Est Europa.
A distanza di oltre trent'anni, sono stati fatti pochi progressi per la loro integrazione nella società.
È estremamente raro in Italia vedere un dottore, un avvocato, un insegnante o addirittura un tassista o un autista di autobus di colore o di origini asiatiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone disoccupate o che lavorano nell'economia sommersa. Partiti di destra come Lega e Fratelli d'Italia fanno della lotta all'immigrazione irregolare, soprattutto dall'Africa, uno dei punti principali del loro programma politico.
Agbontaen, che in Nigeria lavorava come piastrellista, vede il permesso come un'opportunità per ottenere un lavoro stabile nell'edilizia o in fabbrica. Spera poi che sua moglie e sua figlia di 10 anni, rimaste nel suo Paese d'origine, possano raggiungerlo.
"Tutti questi anni passati a lottare per qualcosa che non ottieni mai. Ti fa impazzire, non è una bella situazione", ha detto. "Ma non mi arrenderò mai".
(Tradotto in redazione a Danzica da Michela Piersimoni, in redazione a Roma Francesca Piscioneri, michela.piersimoni@thomsonreuters.com, +48 587696616)