Un saluto a tutti e buon inizio di settimana. Oggi, alla luce del recentissimo accordo raggiunto sul debito americano voglio primariamente dedicare questo articolo per farne una breve analisi, e in secondo luogo vorrei portare alla vostra attenzione ulteriori dati macroeconomici legati allo stato dell’economia americana. L’articolo sarà quindi così suddiviso: una prima parte sulla quale si terrà una disamina dei punti salienti sul “tetto” del debito USA, e una seconda parte sulla quale l’attenzione ruoterà attorno recenti dati macro passati in sordina (visto il rally di venerdì). Prima di entrare nel vivo dell’analisi come al solito vi ricordo che qualora aveste delle domande o semplicemente un’opinione da esprimere potete usare la sezione sottostante dei commenti, in cui possiamo interagire più attivamente. Potete anche sfruttare quello spazio per richiedere un’analisi su un titolo di vostro interesse qualora vi apprezziate il mio approccio all’analisi dei titoli (per non perdervi le mie analisi cliccando il pulsante “segui” riceverete una notifica nel momento di pubblicazione di un mio nuovo articolo).
IL TETTO DEL DEBITO USA
Nell’appena concluso weekend si è giunti ad un accordo oltreoceano sulla questione legata al debito governativo. Il fine settimana porta sempre buoni propositi in terra americana. Ma quali sono le principali connotazioni di questo nuovo tetto del debito?
Parlare di tetto, risulta improprio alla luce delle decisioni prese: per circa due anni gli Stati Uniti non avranno alcun limite al debito governativo fissato. Avete letto bene. Fino al 1° gennaio 2025 non ci sarà alcun limite al debito statunitense. Però se questa è la “notizia bomba” (letteralmente) non è comunque una notizia completa. L’accordo raggiunto tra Biden e i repubblicani prevede anche altre dinamiche degne di interesse; se da una parte è vero che non ci sarà un limite al debito, è anche vero però che sono state prese delle decisioni in materia di taglio della spesa pubblica, le quali terranno le uscite per motivi non difensivi praticamente piatte nel corso del tempo. Ed ecco quindi che iniziano ad emergere delle storture all’orizzonte: la prima è legata alla natura dei tagli della spesa pubblica, la seconda è legata invece alle conseguenze possibili ad un’eliminazione di un tetto. Analizzando il primo aspetto citato appare chiara subito una natura alquanto poco logica, in quanto la spesa non verrà ridotta per scopi militari, mentre per altri motivi subirà un taglio. In altre parole, per finanziare la guerra in Ucraina o i costruttori di armi di vario genere, ci sono soldi “illimitati”, mentre per i cittadini americani ci saranno dei tagli e delle riduzioni negli aiuti. Il primo fra tutti è quello legato ai prestiti studenteschi, i cui pagamenti riprenderanno dopo essere stati in pausa dal 2020. Il che significa che l’accesso allo studio tornerà più limitato, quindi a risentirne saranno gli studenti americani, le nuove generazioni, e questo sacrificio insensato serve per pagare (anche) una guerra. Da sottolineare è il fatto che i debiti in America legati ai prestiti agli studenti sono a dei livelli record, parliamo di 1,6 mila miliardi di dollari e i pagamenti sono previsti in ripartenza a il 31 luglio di quest’anno, qualora nella giornata di mercoledì venisse approvato l’accordo sul debito.
Il secondo aspetto per cui vale la pena riflettere su questo accordo dipende dalla criticità della manovra di non mettere un limite all’indebitamento. Questa decisione banalmente potrebbe condurre ad un aumento più rapido e repentino del già enorme debito americano (attualmente attorno i 31 mila miliardi di dollari), e aggiungendo ad un ammontare così grande di debito altro debito che non serve a far crescere l’economia del paese, che non ha fini di investimento nel lungo periodo non giustifica una simile decisione, e secondariamente essendo debito “negativo” avrà in futuro delle conseguenze a livello economico per il paese.
ALTRI DATI MACROECONOMICI
Veniamo ora alla seconda parte. Prima di tutto ci tengo a presentare alcuni numeri legati proprio al debito, nelle sue varie sfumature, in terra americana. I debiti delle famiglie americane stanno a quota 17 mila miliardi di dollari, i debiti legati ai mutui sono riassumibili nella modica cifra di 12 mila miliardi di dollari, i debiti collegati a prestiti per le automobili ammontano a 1,6 mila miliardi di dollari e quelli legati alle carte di credito stanno per raggiungere la quota di mille miliardi di dollari (attualmente siamo a $986 miliardi). Sarà superfluo dirlo, ma tutte queste cifre sono dei record storici. Per quanto riguarda l’altra faccia della medaglia di questi debiti abbiamo un tasso di interesse del 25% per quanto concerne le carte di credito, per quanto riguarda il debito delle automobili gli interessi da pagare sono del 9% per auto usate, del 14% per veicoli nuovi, infine sui mutui gli interessi da pagare (facendo riferimenti a mutui trentennali) sono pari al 7%. Queste cifre non fanno minimamente sperare bene.
Volendo aggiungere altra carne al fuoco eccovi serviti: il patrimonio netto delle famiglie americane si sta contraendo, e lo sta facendo in modo rapido. Siamo già in territorio negativo per la prima volta dopo la crisi del 2008, e tutte le volte che si è registrata una discesa così verticale si è verificata una recessione. Di seguito il grafico, che potete consultare anche sul sito della Fed di St. Louis.
Un altro dato interessante è legato al mondo del lavoro: le perdite di lavoro permanenti si sono da poco attestate sopra la soglia chiave dello 0% anno su anno: anche questo fenomeno si è verificato prima dei maggiori periodi recessivi del nuovo millennio. Come poi ho già detto numerose volte, la disoccupazione è un ottimo modo per leggere lo stato dell’economia e il punto in cui ci troviamo all’interno del ciclo economico; siamo su dei minimi che non si vedevano da oltre 40 anni, e seguendo la ciclicità del tasso di disoccupazione tutto fa pensare ad un movimento verso l’alto nel prossimo futuro, traducibile anch’esso con una recessione.
Infine, ultimo dato ma non per importanza è quello sull’inflazione, che è uscito nella giornata di venerdì e che è stato profondamente ignorato dai mercati, presi dall’euforia per l’imminente accordo su debito. L’indice dei prezzi per le spese e i consumi personali è aumentato oltre le attese, attestandosi al 4,7% su base annuale, tuttavia un aspetto che non viene considerato correttamente è che questo dato è poco significativo se preso da solo: infatti se guardiamo i dati notiamo due cose importanti, la prima è che da inizio anno il dato non è mai calato in modo stabile, la seconda è che dal mese di marzo le previsioni sono state riviste al rialzo (da 4,3% a 4,7%). Entrambi i dati sottolineano come l’inflazione non sia affatto sconfitta, e se aggiungiamo il controverso cambio di trend degli investitori in tema di politica monetaria il tutto risulta più evidente. Due settimane fa ci si aspettava una pausa a giugno e un taglio già da luglio, ora oltre il 60% degli investitori si aspetta un aumento di 25 punti base a giugno e con il 30% di possibilità pure un aumento anche a luglio di 25 punti, mentre i tagli sono slittati a novembre 2023.
Con questo chiudo l’odierna analisi, come sempre vi auguro buon proseguimento e buon trading!
Disclaimer: il presente articolo non ha alcuna finalità di consulenza finanziaria e non rappresenta un consiglio su come investire o disinvestire i propri soldi. La consapevole valutazione dell'investitore non può essere in alcun modo sostituita, alla luce del personale profilo di rischio e della possibilità di perdere il proprio denaro.