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Attenzione alla Cina, l’orso silenzioso

Pubblicato 14.07.2021, 15:13
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Non sarebbe potuto succedere in un momento meno opportuno per l’OPEC e per i tori del greggio che vivono del cartello, ma la Cina ha cominciato a rallentare gli acquisti greggio, così come ha fatto con le importazioni di rame.

 

Crude Oil Daily

Grafico giornaliero greggio

 

La riduzione è minima per ora, con un calo di solo il 3% da gennaio a giugno, su base annua. Sappiamo che solo questo non basterà a far crollare un mercato petrolifero schizzato del 50% sull’anno in corso. Ma sappiamo anche che, quando il secondo acquirente mondiale opera una stretta sulla domanda di qualunque cosa, non è mai un bene.

La riduzione delle quote di importazione, la manutenzione delle raffinerie e l’aumento dei prezzi globali si sono combinati risultando nella prima contrazione cinese dei consumi semestrali di greggio dal 2013.

Gli analisti di Eurasia Group hanno spiegato il fenomeno in una nota:

“Le importazioni sono state ridotte con l’impennata dei prezzi del greggio che ha eroso i margini di profitto delle raffinerie … se l’OPEC+ non arriverà presto ad un accordo per aumentare la fornitura, i prezzi del greggio alti probabilmente porteranno inoltre ad una distruzione della domanda sui mercati emergenti ancor più sensibili ai costi, soprattutto l’India”.

Dell’OPEC+ fanno parte i 13 membri originali dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio guidata dai sauditi, e altri 10 produttori capeggiati dalla Russia. L’alleanza delle 23 nazioni è allo sbando da inizio luglio, in quanto i maggiori membri dell’OPEC, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), non sono riusciti ad accordarsi sui livelli di produzione di agosto.

L’OPEC+ avrebbe dovuto trovare un accordo su un aumento della produzione di almeno 400.000 barili al giorno per agosto.

L’OPEC stessa ha fermato il rally del greggio

Fino allo scontro tra sauditi ed EAU, il greggio aveva registrato un rally quasi perfetto, con il greggio USA schizzato del 57% sull’anno ed il britannico Brent di quasi il 50% sul modello di unità mostrato dall’OPEC sulla produzione. L’alleanza dei produttori ha cominciato trattenendo 10 milioni di barili al giorno dal mercato per risollevare i prezzi praticamente distrutti dalla pandemia di coronavirus.

L’OPEC+ aveva iniziato ad aumentare la produzione negli ultimi mesi, solo marginalmente. Fino ad ora, ha trattenuto quasi 6,0 milioni di barili al giorno di capacità dai compratori su un mercato che potrebbe essere a corto di scorte con l’arrivo del picco della domanda estiva di energia. Ed è questo che ha causato il rally da favola del greggio dai -40 dollari al barile per il greggio USA all’apice della pandemia di COVID ai circa 75 dollari di ora. Sebbene il mercato sia ancora ottimista, è diventato anche molto più volatile dopo l’intoppo dell’OPEC sulla produzione di agosto.

Ma i problemi del greggio non si limitano solo all’OPEC.

La diffusione delle varianti del coronavirus e l’accesso disuguale ai vaccini minacciano la ripresa economica globale, hanno avvertito sabato i capi delle finanze del G-20. Anche se il Sudest asiatico e l’Australia sono i territori più presi di mira dalle nuove varianti, le capitali occidentali non sono state risparmiate.

Gli Stati Uniti hanno registrato il numero più alto di casi di COVID da maggio nel weekend, con la variante Delta, molto più trasmissibile, diventata più prevalente. Si teme che le varianti del COVID possano ancora una volta limitare i viaggi globali, pesando sui consumi di greggio.

Entra la Cina, “l’orso silenzioso” 

Con la Cina che emerge come terzo fattore negativo contro il greggio, le prospettive per la domanda diventano ancora più discutibili. Il paese non è solo una cheerleader dei super-cicli delle materie prime, ma può anche essere un orso silenzioso quando i prezzi non vanno come vuole o danneggiano la sua economia.

Prendiamo ad esempio la storia del rame.

Il rally del rame LME quest’anno è stato enorme, ma c’è stato qualcosa di persino più grande: il giro di vite della Cina sui prezzi.

 

LME Copper Daily

Grafico giornaliero rame LME

 

Dopo che il metallo più richiesto al mondo ha raggiunto i massimi storici di 10.746 dollari la tonnellata sul London Metal Exchange il 10 maggio, il principale acquirente ha deciso che il troppo era troppo.

Tramite una riduzione sistematica delle importazioni di rame nelle settimane successive (il taglio è cominciato in realtà ad aprile, per poi accelerare), la Cina ha portato il rally del rame ad un punto morto da maggio.

I future del rame sul London Metal Exchange sono crollati di oltre l’8% a giugno, il massimo dal marzo 2020. Dall’inizio di luglio, il mercato non è andato da nessuna parte, con scambi invariati o in rosso per la maggior parte del tempo.

La storia del rame ci ricorda cosa è in grado di fare la Cina

Prima della stretta cinese, il rame LME aveva visto un rally quasi ininterrotto tra l’aprile 2020 ed il maggio di quest’anno. E la Cina aveva comprato per tutto il tempo. La differenza era il prezzo del rame, che si attestava a meno di 5.200 dollari la tonnellata nella primavera dello scorso anno. Questa primavera è più che raddoppiato.

Il prezzo alto da record di maggio ha incontrato la forte obiezione della Cina, con i compratori fisici rimasti nelle retrovie e le attività manifatturiere che hanno ridotto le operazioni. In Cina, il crescente divario tra l’indice sui prezzi alla produzione (a carico dell’industria) e l’indice sui prezzi al consumo (pagato dagli utenti finali) ha messo in evidenza il maggiore onere a carico dei produttori.

La moderazione cinese del mercato del rame ha fatto crollare i prezzi del 12% dal massimo storico di maggio di 10.746 dollari, con i future LME a tre mesi ieri ad appena circa 9.400 dollari.

Quindi, cosa può fare la Cina al greggio?

Pechino sta inoltre facendo parecchio per cercare di raffreddare il mercato, scrive Osama Rizvi, analista del settore energetico per Primary Vision Network.

In un blog, all’inizio del mese, scrivendo del perché il greggio potrebbe non arrivare a 100 dollari al barile nonostante la domanda che si registra al momento, Rizvi ha definito la Cina un grosso fattore.

Notando che le raffinerie cinesi hanno eliminato 589.000 dai loro impianti nel solo mese di maggio, Rizvi ha affermato:

“La Cina ha ammassato enormi quantità di greggio quando i prezzi hanno segnato il minimo di 20 anni e, con i prezzi che continuano a salire, la Cina sarà sempre più incentivata ad attingere alle sue riserve anziché importare greggio costoso. Sebbene ciò difficilmente cambierà i fondamentali di base dei mercati petroliferi, la riduzione delle importazioni cinesi è certamente uno dei fattori che potrebbero infine causare un cambiamento del sentimento del mercato del greggio”.

Un altro fattore geopolitico da tenere d’occhio sono i rapporti USA-Cina, ha detto, riferendosi in particolare alla richiesta degli Stati Uniti di bloccare l’acquisto del produttore di chip sudcoreano MagnaChip (NYSE:MX) da parte dei fondi azionari cinesi.

Questa settimana, il Dipartimento di Stato ha aggiunto 14 società cinesi ed altri enti ad una lista nera economica per presunte violazioni dei diritti umani e sorveglianza high-tech nella regione di Xinjiang, a popolazione musulmana.

Aggiunge Rizvi:

“Un’escalation, a qualsiasi punto, tra USA e Cina sul fronte della guerra commerciale significherebbe problemi per il mercato del greggio e peserebbe sull’attuale rialzismo dei mercati. Sono questi cambiamenti geopolitici che storicamente hanno giocato il ruolo maggiore nel cambiamento di tono della copertura dei media e, per estensione, del sentimento dominante sui mercati petroliferi”.

Morale della favola: l’immenso potere della Cina nell’influenzare sia la domanda che il prezzo di qualunque cosa non dovrebbe mai essere ignorato.

Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.

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