Antefatto.
L'MSCI ACWI (acronimo di All Country World Index), che esprime nel modo più sintetico l'andamento delle borse globali, si muove a ridosso dei massimi storici, con un progresso intorno al +17% (espresso in Usd). Ottobre è stato l'ottavo mese positivo dei dieci portati a termine nel corso del 2021 e se verrà confermato il trend attualmente in corso, novembre si candida ad essere il nono. Il tutto, mentre l'Inflazione si è rimessa a correre.
Ma non dovrebbe essere il caro vita a riportare a terra le borse nei prossimi mesi, perchè il travolgente rialzo delle azioni in atto da anni ha ragioni più solide e strutturali del più o meno transitorio incremento dei prezzi al consumo innescato dalla ripartenza dopo la pandemia.
Oltre all’invecchiamento della popolazione, fenomeno demografico, che crea un enorme massa di risparmio in eccesso e spinge all’ingiù i tassi, c’è un fenomeno messo in evidenza in un recente report a cura della Fed di Kansas City: l’inesorabile e continuo aumento delle disuguaglianze di reddito.
Quel che la ricerca accademica in ambito economico sta delineando, lo dice da tempo implicitamente il mercato delle obbligazioni, che pur avendo ormai ben chiaro quanto sia seria la minaccia dell’inflazione (+6,1% negli Stati Uniti a ottobre), si comporta come se fosse qualcosa di passeggero: il rendimento del Treasury Note a dieci anni, salito negli ultimi giorni a 1,63% di rendimento, è almeno 50 punti base sotto il livello che gli esperti in materia ritengono coerente con le indicazioni sul rialzo dei tassi che gli stessi membri della Federal Reserve stanno anticipando per la seconda parte dell’anno prossimo.
Ma il mercato dice qualcosa di ancora più rilevante: sulla stessa scadenza, il bond governativo agganciato all’inflazione, tratta a 2,74%, centodieci punti base sopra il nominale: ne deriva il paradosso che, mentre le sirene sull’arrivo dell’inflazione suonano, i tassi reali sono negativi, oggi -1,1%. Anzi, non sono mai stati così negativi nella storia.
E’ quindi andando indietro nella storia, aiutandosi con quello che la dottrina economica ha individuato sull’argomento, che si può arrivare ad individuare le ragioni di fondo della formazione del colossale surplus di risparmio che zavorra i tassi di interesse e spinge così la liquidità verso l’equity.
Per trovare il padre di tutti i megatrend in atto, si deve andare parecchio indietro, all’incirca a metà degli anni ’70, periodo che ha qualche similitudine con l’oggi, perché nella seconda parte del decennio l’inflazione negli Stati Uniti si raddoppiò, arrivando a sfiorare il +15%.
Antonio Cesarano, global strategist di Intermonte Sim [INTN.MI] , segnala che nel 1979, con l’inflazione galoppante e Wall Street depressa (l’S&P500 oscillava intorno a 100 punti, contro i 4.700 attuali), Franco Modigliani e Richard Cohn pubblicarono un’analisi in grado di smentire chi oggi teme una nuova Weimar: “In sintesi, si diceva che Wall Street e le borse erano sottovalutate perché gli analisti scontavano, allora come oggi, i flussi di cassa generati dalle aziende con il tasso nominale, sarebbe invece più giusto arrivare al fair value delle aziende usando il tasso reale, che in quegli anni era circa 200 punti base sotto quello nominale. Nel paper si diceva inoltre che gli analisti trascurano un effetto positivo dell’inflazione, l’erosione delle passività delle aziende.”, afferma lo strategist.
Il mondo dell’analisi fondamentale ha preso atto solo parzialmente di quel che Modigliani&Cohn avevano definito un abbaglio monetario (money illusion): il risultato è che i target price sono più bassi di quel che il mondo reale afferma.
Cesarano, sempre citando il lavoro svolto nel 1979, mette in evidenza che i mercati azionari, soprattutto con questa situazione di tassi, sono la protezione perfetta dall’inflazione. Di conseguenza, che l’impennata attuale sia transitoria, come dicono pressoché tutte le banche centrali, o sia destinata a durare anche qualche trimestre, come per esempio ha detto questa settimana il presidente di UBS, Alex Weber, poco conta per chi ha investito in azioni.
Il mercato ha così iniziato a scontare l’effetto Modigliani&Cohn, vede i tassi reali negativi e si riversa in massa sulle azioni, che infatti continuano a salire, spinte all’insù non tanto dai flussi di cassa, ma dai tassi bassi.
Le banche centrali, ritenute le prime artefici di questo contesto, secondo Cesarano non sono le uniche responsabili, anzi, il loro intervento monetario si inserisce in un solco ben più profondo, quello della demografia e della disuguaglianza.
L’influenza dell’invecchiamento sullo scenario macroeconomico è noto e già parzialmente studiato, è invece relativamente recente il secondo tema. Il report della Fed di Kansas City presentato in agosto a Jackson Hole, ridimensiona il ruolo dei baby boomers e punta il dito sull’aumento della distanza tra i redditi dei più poveri e dei più ricchi. L’indagine condotta sugli acquisti di prodotti finanziari da parte delle famiglie americane tra il 1950 ed il 2019 rivela che l’eccesso di risparmio ha cominciato a prendere forma a partire dagli anni ’80 ed ha continuato ad aumentare. Atif Mian, Ludwig Straub e Amir Sufi mostrano che i responsabili dell’eccesso sono i neo pensionati, all’incirca le persone tra sessant’anni e settant’anni. Questo gruppo è diventato più rilevante in termini relativi, a causa della crisi delle nascite, ma quel che più conta è il fatto che queste persone si sono ritrovate una disponibilità di risorse molto più alta del passato, il tutto, a seguito del venir meno delle politiche redistributive.
La forte risalita della propensione al rischio è stata favorita dall'ottimo tono delle trimestrali in USA e Europa oltre che dalle indicazioni rasserenanti dei banchieri centrali sulla futura evoluzione dell'inflazione. Sullo sfondo permangono i timori legati alla diffusione della pandemia (con accelerazione dei casi di contagio ma con bassi tassi di ospedalizzazione) e quelli legati al deterioramento del settore immobiliare in Cina