La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 27.12.2018
Senza dubbio, la caratteristica principale del greggio nel 2018 è stata la volatilità del suo prezzo. La materia prima segna un tonfo di quasi il 30% rispetto ad un anno fa.
Il WTI ha cominciato il 2018 vicino a 60 dollari al barile; al momento oscilla nel range di 44-47 dollari al barile. Il Brent ha cominciato l’anno a 66,65 dollari al barile, chiudendo ieri a quasi 54 dollari al barile.
Nei primi quattro mesi del 2018, i mercati petroliferi sono stati volatili ma l’oro nero ha comunque continuato a salire. A questo ha contribuito l’accordo OPEC e non-OPEC per la riduzione della produzione.
Con i dati di varie organizzazioni esterne (tra cui S&P Global Platts i cui dati sulla produzione sono spesso citati in questi articoli) e i vertici della Commissione ministeriale di vigilanza congiunta (JMMC) dell’OPEC è stato determinato che la maggior parte dei paesi ha rispettato le proprie quote di produzione. Tuttavia, Iraq e Kazakistan hanno prodotto notevolmente di più.
Un secondo fattore che ha spinto i prezzi in questo periodo è stato il fatto che numerosi importanti produttori abbiano subìto degli involontari cali della propria produzione. In particolare, l’ex potente produttore, il Venezuela, la cui produzione è scesa a 1,41 milioni di barili al giorno ad aprile, e l’Angola, che ha prodotto solo 1,53 milioni di barili al giorno nello stesso periodo. Al contempo, si è ridotta anche la produzione in Libia e Gabon.
Inattesi ostacoli pesano sui prezzi
I successivi otto mesi del 2018, tuttavia, hanno fatto sembrare l’inizio dell’anno tranquillo se non calmo, in paragone. Una serie di inattese difficoltà si è abbattuta sui prezzi facendoli scendere.
All’inizio di maggio, il governo Trump ha annunciato che avrebbe imposto nuove sanzioni contro l’industria petrolifera iraniana, a partire da novembre. La decisione in sé non è stata particolarmente sorprendente ma la reazione dei mercati è stata indicativa. Sebbene il WTI abbia toccato i 72 dollari al barile a metà maggio, entro giugno questi guadagni sono stati cancellati.
L’impatto reale delle nuove sanzioni del governo Trump è diventato apparente a partire da giugno e per tutto luglio e agosto. Inizialmente, gli analisti credevano che il governo Trump avrebbe semplicemente reintrodotto le sanzioni dell’era Obama sul settore petrolifero iraniano, implementandole allo stesso modo.
Le sanzioni prevedevano esenzioni significative per gli importatori asiatici di greggio iraniano che avessero ridotto gli acquisti della materia prima. All’epoca, questi paesi potevano inoltre importare quanti prodotti condensati desiderassero, ammesso che gli acquisti di greggio fossero ridotti.
Tuttavia, il governo Trump si è mostrato più duro, affermando che non avrebbe concesso esenzioni e che si aspettava che gli acquirenti di greggio iraniano azzerassero le proprie importazioni entro la data del 5 novembre.
Inoltre, il settore dello scisto USA ha contribuito alla volatilità. In occasione del seminario internazionale dell’OPEC del 20 giugno, Scott Sheffield, Amministratore Delegato di Pioneer Natural Resources (NYSE:PXD) ha sganciato una bomba. Ha riferito ai partecipanti che la carenza di oleodotti e di altre infrastrutture ridurrà la produzione petrolifera USA nel Texas occidentale e in New Mexico. Ha sottolineato che l’OPEC dovrà immettere altro greggio sul mercato o i prezzi saliranno sopra gli 80 dollari al barile e che entro i prossimi 3 o 4 mesi i produttori saranno costretti a chiudere i pozzi.
Di conseguenza, dal 20 giugno al 5 luglio, i prezzi del greggio sono schizzati a livelli tali da scatenare l’apprensione dei politici. Il prezzo della benzina è rimbalzato, giusto in tempo per colpire i consumatori proprio nel bel mezzo della stagione estiva di guida negli Stati Uniti.
Il WTI è salito di 10 dollari a 74 dollari al barile, dando il via ad una raffica di pressioni pubbliche e private da parte del Presidente Trump contro l’OPEC, in particolare l’Arabia Saudita, per aumentare la produzione petrolifera in modo tale che, quando le sanzioni USA sull’Iran fossero entrate in vigore, i prezzi del greggio non schizzassero a tripla cifra. L’OPEC aveva già indicato che, per via dei tagli involontari alla produzione, alcuni produttori stavano soffrendo.
Il cartello e i suoi partner hanno annunciato che non avrebbero più rispettato le quote individuali. Al contrario, il gruppo ha deciso che i produttori con la capacità di scorte sufficiente producessero al di sopra delle proprie quote per compensare le riduzioni avvenute altrove.
Ciononostante, entro metà settembre, gli analisti prevedevano che il greggio arrivasse a 100 dollari. I trader hanno accettato questa previsione sebbene ci fossero segnali di un aumento delle scorte di greggio e di un calo della domanda che non avrebbero supportato un prezzo tanto alto. Malgrado i report dell’EIA di quel mese, secondo cui gli Stati Uniti probabilmente avevano superato Arabia Saudita e Russia come principale produttore petrolifero al mondo, i prezzi hanno continuato a salire.
Il WTI ha toccato un massimo storico di quasi 77 dollari al barile a inizio ottobre. Nel corso del mese, l’Arabia Saudita ha gradualmente incrementato la produzione e l’ha poi aumentata ancora di più, ma questa volta a novembre, con una maggiore ostentazione, raggiungendo il massimo di 11,02 milioni di barili al giorno (secondo Platts).
E lo sforzo ha dato i suoi frutti. Il prezzo del greggio è sceso ad ottobre man mano che sul mercato è arrivato più greggio dall’Arabia Saudita, dalla Russia e dagli EAU ed è diventato chiaro che la temuta carenza di infrastrutture nel bacino Permiano non era neanche lontanamente grave come previsto. I produttori di scisto hanno tratto vantaggio dai prezzi più alti, spostando gli impanti in zone con maggiori oleodotti e usando altri mezzi per trasportare il loro greggio fuori dal bacino Permiano, anziché tagliare la produzione.
La decisione di EPIC Midstream Holdings di convertire l’oleodotto EPIC per trasportare greggio ha contribuito ad alleviare la carenza di infrastrutture, mantenendo forte la crescita della produzione.
Ma all’inizio di novembre il governo Trump ha sorpreso i mercati, annunciando che non avrebbe di fatto chiesto agli importatori di greggio iraniano di azzerare gli acquisti entro il 5 novembre. Piuttosto, avrebbe concesso delle esenzioni al alcuni di loro.
Sebbene la quantità di greggio iraniano che potrebbe restare legalmente sul mercato sia inferiore a quella concessa durante le sanzioni dell’era Obama, le esenzioni sono state significative. I prezzi sono scesi.
La caduta libera è proseguita a novembre e dicembre. Infatti, nell’ultimo mese i mercati hanno registrato parecchi giorni in discesa, con ribassi di ben il 6% o l’8% in un solo giorno. L’OPEC, durante un vertice a inizio dicembre come previsto ha deciso di tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno.
I mercati, tuttavia, non sono stati soddisfatti ed hanno considerato le riduzioni appena sufficienti. La produzione di greggio USA continua a crescere anche se si prevede un rallentamento della domanda.
E questo, insieme ai timori di una recessione, ha portato i prezzi del greggio ai minimi dell’anno. Negli ultimi giorni del 2018, il greggio sembra stare recuperando parte delle perdite, ma questi rimbalzi (+8% per il Brent e +10% per il WTI il 26 dicembre) non indicano necessariamente un trend.
Il greggio a 100 dollari non rappresenta più una possibilità
Solo pochi mesi fa, molti credevano che avremmo visto il greggio a 100 dollari al barile prima della fine dell’anno. Nei primi mesi del 2019, il mercato sarà fortunato se il Brent resterà sopra i 50 dollari al barile. Il WTI potrebbe restare nel range dei 40 dollari.
All’inizio del mese, ho descritto tre sviluppi chiave che ritengo influiranno sui mercati del greggio nel 2019. I principali fattori saranno probabilmente l’OPEC e le sanzioni iraniane.
L’OPEC si incontrerà ad aprile e gli Stati Uniti rivedranno e ripenseranno le esenzioni dalle sanzioni più o meno nello stesso periodo. Tuttavia, se da un lato sembra che il WTI non supererà i 50 dollari a gennaio, i trader dovrebbero anche tenere d’occhio le compagnie di petrolio da scisto, il numero degli impianti di trivellazione e i dati settimanali sulla produzione. Questi prezzi bassi, insieme ad un inasprimento delle pratiche di prestito da parte di Wall Street, potrebbero costringere alcune compagnie a rallentare la propria crescita nella prima metà del 2019.