Forse è solo coincidenza, ma dopo il viaggio a Tripoli del premier quattro importanti broker hanno alzato giudizi e target price. Jefferies, che ha portato il target price a 13,3 euro, punta su un incremento del dividendo a 0,75 euro per azione, che vorrebbe dire un rendimento del 7,3%, il più alto nel settore
In 48 ore gli upgrade di Jefferies, Credit Suisse Group (NYSE:CS), Exane e Kepler-Cheuvreux.
Sarà una semplice coincidenza, ma è impossibile non notare che subito dopo la visita del premier Mario Draghi in Libia si è riaccesa l’attenzione su Eni (MI:ENI) da parte degli analisti, che in maggioranza adesso giudicano che il gruppo italiano dell’energia è sottovalutato.
Ieri sono arrivate le promozioni di Jefferies e di Credit Suisse. Il primo ha alzato la raccomandazione a Buy da Neutral, portando il target price a 13,3 euro da 9,10 euro. La banca svizzera ha migliorato il giudizio a Neutral da Sell e ha alzato il target price a 12,5 euro da 11 euro.
Stamattina altri due importanti broker hanno migliorato la loro visione sul titolo: Kepler-Cheuvreux ha ribadito il giudizio Buy, alzando il target da 12,50 a 13,50 euro. Exane BNP Paribas ha migliorato il giudizio da Underperform a Neutral e ha alzato il target price 10,80 euro da 9 euro.
Il target price medio sale a 11,05 euro, 13 analisti consigliano di comprare.
A questo punto, su 31 analisti censiti da Bloomberg, 13 consigliano di comprare il titolo, quattro raccomandano di vendere e 14 hanno un giudizio Neutral. La media dei target price è 11,05 euro, un livello che evidenzia per il titolo del Cane a sei zampe un upside dell’8% rispetto alla quotazione di oggi di 10,22 euro (+0,5%).
Nessuno dei report cita la Libia come elemento determinante per la rivisitazione del giudizio su Eni, ma i numeri sono noti a tutti. Prima che il Paese piombasse nella guerra civile, la Libia era arrivata a produrre oltre 1,7 milioni di barili di olio equivalente (petrolio e gas) al giorno, con Eni a interpretare il ruolo di principale operatore.
Il caso Libia: quali vantaggi se il Paese ritrova la pace.
Negli ultimi anni, con il Paese diviso e in guerra, la produzione è crollata a 200mila barili al giorno. Se il nuovo quadro politico permetterà la ripresa dell’attività in sicurezza, Eni, che in questi anni non ha mai abbandonato gli impianti e ha garantito quella produzione minima che ha permesso la sopravvivenza della popolazione, non potrà che averne dei vantaggi.
Di tutto questo, però, non si parla nel report di Jefferies, che invece indica altri due elementi come i motori della prossima rivalutazione di Eni: la previsione di sostanziosi dividendi e l’ipotesi di una valorizzazione del business del biofuel, che secondo alcune indiscrezioni potrebbe essere scorporato in una società ad hoc con interessanti potenzialità di crescita.
Dividendi e buy-back strettamente legati al prezzo del petrolio.
Sui dividendi l’analista di Jefferies spiega che la remunerazione del capitale è “strettamente legata” al prezzo del petrolio e con il Brent all’attuale prezzo sopra i 60 dollari al barile la previsione è che Eni paghi sul bilancio 2021 una cedola di 0,75 euro per azione, corrispondente a un rendimento del 7,3%, il più alto nel settore. Per Jefferies è anche probabile che venga effettuato un buyback di 800 milioni di euro.
D’altronde era stato lo stesso Ceo di Eni, Claudio Descalzi, a indicare lo scorso 19 febbraio alcuni parametri chiave del piano industriale 2021-2024. Con un prezzo del petrolio a 50 dollari Eni prevede di realizzare in quattro anni un flusso di cassa operativo di 39 miliardi. Con il Brent a 43 dollari il gruppo del Cane a sei zampe garantisce un dividendo minimo di 36 centesimi ad azione, che ovviamente sarà più alto in proporzione alle quotazioni del greggio.
Inoltre le quotazioni di Eni potranno beneficiare di un programma di buyback di 300 milioni l’anno con un prezzo del Brent di 56 dollari al barile, che salirà a 400 milioni l’anno a partire da 61 dollari e a 800 milioni dai 66 dollari.