Il mercato attendeva ieri di apprendere nuove informazioni rispetto ai piani per il 2018 della Banca Centrale Europea relativamente a tassi di interesse e Quantitative Easing.
Da diversi mesi infatti si è aperto un dibattito incentrato sulle tempistiche europee di uscita dalle attuali politiche monetarie ultra-accomodanti ed il meeting della BCE in programma ieri era ritenuto di grande interesse proprio per questo motivo.
Il messaggio che Mario Draghi ha voluto lanciare è stato molto chiaro: in Europa non è ancora arrivato il momento di chiudere i rubinetti della liquidità e il Quantitative Easing dovrà continuare fino a quando verrà ritenuto necessario.
Il motivo principale alla base di questa decisione è l’inflazione (CPI) che attualmente nella zona Euro si trova all’1,5%.
Sappiamo che la BCE è sostanzialmente obbligata a mantenere politiche monetarie accomodanti fino a quando il CPI non darà garanzie di potersi mantenere stabilmente il più vicino possibile al 2% ed infatti è proprio ciò che a Francoforte stanno continuando a fare.
Ciò che però colpisce è il sostanziale pessimismo che la BCE sta dimostrando nei confronti delle possibilità di crescita dell’inflazione. Se infatti andiamo a vedere i numeri che sono stati pubblicati possiamo notare come la banca centrale si aspetti che nei prossimi anni l’inflazione rimarrà sostanzialmente ferma intorno agli attuali livelli, riuscendo infine ad arrivare molto vicino al 2% (nello specifico all’1,9%) solamente tra 5 anni.
Sulla base di ciò vanno fatte due considerazioni: la prima è che con questi numeri, tutt’altro che promettenti, ieri la BCE non avrebbe assolutamente potuto fare niente di diverso rispetto a quanto ha comunicato.
Pensare infatti di stringere veramente la politica monetaria sapendo che, secondo le attuali proiezioni, l’inflazione riuscirà ad arrivare vicina al suo target solamente tra 5 anni sarebbe stato probabilmente qualcosa di addirittura contro il mandato stesso di Mario Draghi. La seconda considerazione è invece relativa alle proiezioni che potrebbero essere soggette ad importanti revisioni nel futuro.
Se infatti consideriamo il fatto che a livello globale la crescita sta iniziando ad accelerare e che le proiezioni di crescita europea della stessa BCE sono state riviste al rialzo, possiamo concludere che in presenza di un’espansione economica le possibilità che quelle stime relative al CPI europeo possano essere ritoccate al rialzo siano comunque concrete.
Volendo però addentrarsi nelle proiezioni d’inflazione pubblicate dalla BCE possiamo identificare come uno dei motivi principali alla base del pessimismo sulla crescita del CPI il persistere di un alto tasso di disoccupazione.
Nella teoria macroeconomica infatti un basso tasso di disoccupazione viene ritenuto un elemento fondamentale per la crescita dell’inflazione ma in Europa siamo ancora all’8,8%, ancora quindi lontani anni luce dal 4,1% americano o dal 4,3% britannico.
Parlando in termini macroeconomici, questo rimane uno dei principali problemi europei in quanto Mario Draghi potrà aiutare l’economia attraverso gli stimoli monetari fino ad un certo punto ma perché la disoccupazione possa spingersi verso livelli più anglosassoni è necessario che i governi si impegnino ad attuare politiche che abbiano proprio tale scopo.
Fino a quando ciò non accadrà, l’inflazione europea rimarrà appesantita dall’alto livello di disoccupazione e le politiche monetarie della BCE dovranno continuare a rimanere morbide nel tentativo di bilanciare altri problemi.
Alessandro Bonetti
Analyst - FxPro