Il rally del greggio si sta già logorando?
La quinta settimana consecutiva di rialzi per il greggio implica che qualunque slancio rialzista avrà da qui in poi la materia prima sarà limitato, malgrado le continue buone notizie sui vaccini per il COVID-19.
Negli scambi asiatici di questo lunedì, il greggio USA West Texas Intermediate ed il londinese Brent scendono dello 0,4% alle 14:00 a Singapore (1:00 ET), con la continua impennata di casi globali di coronavirus che ha costretto all’introduzione di una serie di nuovi lockdown, anche negli Stati Uniti, nella California meridionale.
Grafico giornaliero del greggio
Si tratta di un altro segnale del fatto che il greggio sta avendo problemi a proseguire il rialzo iniziato il 9 novembre dopo che un trio di produttori di vaccini per il COVID-19, con in testa Pfizer (NYSE:PFE), ha suggerito che le prime dosi del vaccino potrebbero essere disponibili già questa settimana.
Lockdown a parte, i long sul greggio hanno sempre un altro problema: l’OPEC.
L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, che esiste per far ottenere ai suoi membri il prezzo migliore e delle buone opportunità di mercato, non sempre rispetta le aspettative dei tori del greggio.
Quando lo fa (come la scorsa settimana, quando ha deciso di aumentare la produzione di appena 500.000 barili al giorno a partire da gennaio, anziché i 2 milioni previsti), l’OPEC può agire in un modo che merita l’applauso.
Ma il cartello può anche deludere sulle cose importanti. E la delusione può arrivare da uno qualunque dei 13 membri dell’Organizzazione guidata dai sauditi o del gruppo allargato OPEC+, che comprende 10 alleati con in testa la Russia.
Pochi possono aver dimenticato lo scontro tra sauditi e russi che ha portato al tonfo di marzo con il WTI arrivato per la prima volta ad un prezzo negativo, colando a picco a ben -40 dollari al barile.
E nell’ultima di queste occasioni, quando sembrava che l’OPEC avesse messo all’angolo il mercato dopo l’annuncio dell’aumento della produzione di giovedì, sono emerse delle voci, nel weekend, secondo cui l’Iran, uno dei membri fondatori, probabilmente massimizzerà la produzione il prossimo anno.
Reuters, citando i media di stato iraniani, ieri ha riportato che Teheran avrebbe chiesto al suo ministero del petrolio di prepararsi a produrre e vendere greggio a piena capacità entro tre mesi, in vista di un possibile allentamento delle sanzioni statunitensi dopo che il Presidente eletto Joseph Biden assumerà il ruolo il 20 gennaio.
La notizia suggerisce che il Presidente Hassan Rouhani intende riportare la produzione del paese al livello di 2 milioni di barili al giorno che si registrava nel 2018, prima che il governo Trump uscisse dall’accordo sul nucleare stretto da sei nazioni con Teheran e reintroducesse delle sanzioni che hanno colpito duramente l’economia.
Ci sono state molte speculazioni circa un imminente ritorno del greggio iraniano sul mercato nell’eventualità di una presidenza Biden.
Ciò che ha sorpreso, però, è stata la tacita approvazione dell’Iran la scorsa settimana del modesto aumento della produzione dell’OPEC+, sebbene stia lavorando dietro le quinte per produrre come se non ci fosse un domani.
E, come mi sono chiesto in articoli precedenti (restando sconcertato dai giochi mentali degli iraniani e dei loro altrettanto (se non più) creativi rivali sauditi) perché ci si dovrebbe fidare dell’OPEC?
Nei suoi sei decenni di storia, il cartello è spesso stato generoso nelle promesse ma non fedele nel mantenerle, nonostante abbia rispettato più che mai i tagli alla produzione che si sono resi necessari per la pandemia di coronavirus negli ultimi sei mesi.
Se l’Iran dovesse riuscire a giocare i sauditi, non sarà la prima né l’ultima volta che un membro dell’OPEC avrà detto una cosa e ne abbia poi fatta un’altra.
Inoltre, la Repubblica Islamica non potrà essere biasimata per la sua apparente disonestà, quando sono stati proprio i sauditi a consentire con gioia al governo Trump di esercitare la “massima pena” su Teheran negli ultimi due anni senza preoccuparsi dell’economia di un membro dell’OPEC.
Per quanto riguarda i metalli preziosi, con l’oro che sta registrando solo una settimana di rialzi contro le cinque del greggio, il metallo giallo potrebbe avere la possibilità di proseguire la corsa.
Negli scambi asiatici di questo lunedì, l’oro con consegna a febbraio sul COMEX a New York oscilla a quasi 1.845 dollari l’oncia, su di circa 4 dollari, o dello 0,2%.
Grafico giornaliero oro
Alcuni analisti pensano che l’ipotesi più ottimista per il metallo giallo ora sia di arrivare a 1.880 dollari ed oltre. Per questo, molto dipenderà da come i fan dell’asset rifugio risponderanno alla storia dello stimolo economico proposta da Biden.
Venerdì, Biden ha chiesto uno stimolo da “centinaia di miliardi di dollari” per spingere l’economia nel 2021. I Repubblicani al Senato, che hanno fatto del loro meglio per boicottare le considerevoli spese legate al COVID-19 dopo i primi 3 mila miliardi di dollari approvati con il CARES Act a marzo, sembrano ormai costretti ad accettare l’accordo bipartisan da almeno 908 miliardi di dollari.
Non bisogna dimenticare che erano stati proprio il CARES Act e le successive promesse (anche se non realizzate) di uno stimolo ad aver spinto l’oro ai massimi storici di 2.000 dollari ed oltre a marzo. Altri aiuti fiscali ed un ulteriore indebolimento del dollaro potrebbero essere quello che serve al metallo giallo per rinvigorirsi.
Oltre a quello che farà il governo Biden, anche la Federal Reserve intende incrementare gli acquisti di bond dopo aver visto il destabilizzante report di novembre sull’occupazione non agricola, che ha rivelato un aumento di soli 245.000 posti di lavoro contro i 470.000 stimati.
“I lockdown per il COVID e le misure restrittive rischiano di lasciare cicatrici permanenti sul mercato del lavoro e ciò farà sì che la Fed resti super-accomodante”, ha affermato venerdì Ed Moya, esperto senior di strategie di mercato di OANDA, a New York.
Ciononostante, per l’oro, ci si chiede se abbia incontrato un muro tra 1.835 e 1.850 dollari, dopo essere schizzato da meno di 1.770 dollari.
Inoltre, altre due cose dovranno restare giù affinché l’oro possa salire: il dollaro, che si trova già ai minimi pluriennali, e i rendimenti dei Buoni del Tesoro USA.
Se dovesse avvenire un’improvvisa rotazione degli asset, il denaro potrebbe passare dai titoli azionari in overbought (oro compreso) ai bond.
“Il linguaggio del corpo dell’oro rivela la sua intenzione di superare la parte destra dei 1.900 dollari ma, allo stesso tempo, i fattori tecnici invitano alla cautela”, scrive Sunil Kumar Dixit di SK Dixit Charting, a Kolkata, India.
“Come previsto, il metallo prezioso sta affrontando una dura resistenza a 1.848 dollari e la negatività dell’indice RSI (indice di forza relativa) stocastico potrebbe causare una correzione intraday a 1.830-1.818 dollari. I compratori potrebbero entrare al test di 1.818-1.820 dollari ed un consolidamento potrebbe aiutare l’oro a schizzare di nuovo, infrangendo i 1.848 dollari e dirigendosi verso i 1.866-1.870 dollari”.