- I riacquisti di azioni nel 2018 sono aumentati ad un tasso record
- La riforma fiscale di Trump e il rimpatrio di denaro stanno finanziando la mossa
- Ciò avviene a discapito degli investimenti in CapEx e R&S
- A rimetterci, anche la forza lavoro generale; le aziende non stanno finanziando aumenti di stipendio o bonus con i guadagni inattesi
- Molti analisti ritengono che a lungo termine questo peserà sulla crescita
Le compagnie quotate sulla borsa di New York stanno riacquistando le loro azioni ad un ritmo mai visto finora nel 2018, con il valore nozionale in dollari delle azioni riacquistate da compagnie quotate in borsa che ha raggiunto il livello massimo mai registrato per questo periodo dell’anno.
Secondo TrimTabs, un’azienda californiana che segue i riacquisti di azioni, il valore dei programmi di riacquisto annunciati nel solo mese di febbraio ha visto un’impennata a 153,7 miliardi di dollari dai 59,9 miliardi di gennaio, superando il record mensile precedente di 133 miliardi di dollari dell’aprile 2015. “L’attività è certamente accelerata. I riacquisti sono aumentati per cinque mesi consecutivi a partire dal luglio 2017 e sono esplosi a febbraio”, spiega l’analista di TrimTabs Winston Chua. “Se si continuerà a questo ritmo, il volume di quest’anno supererà di gran lunga i totali di tutti gli altri anni precedenti in oltre un decennio”, aggiunge.
In effetti, una ricerca di JP Morgan della scorsa settimana rivela che le compagnie dell’indice S&P 500 effettueranno riacquisti per una cifra record di 800 miliardi di dollari nel 2018, ben al di sopra dell’attuale massimo di 530 miliardi di dollari registrato nel 2017. E secondo l’analisi, la cifra di quest’anno potrebbe aumentare ancora di più con le giuste condizioni.
“C’è la possibilità di un ulteriore rialzo delle nostre stime di riacquisto se le compagnie dovessero aumentare i tassi di ritorno lordi a livelli simili all’ultimo ciclo, quando le compagnie hanno restituito più del 100% dei profitti agli azionisti (rispetto all’83% di adesso)”, si legge nel report.
L’analisi è simile a quella del mese scorso di David Kostin, responsabile USA delle strategie azionistiche di Goldman Sachs, in cui si indicava un’impennata dei riacquisti. Tuttavia, le previsioni di Kostin sono meno aggressive, per un totale di 650 miliardi di dollari.
Ma perché le compagnie a volte optano per un riacquisto di azioni anziché utilizzare i fondi per investimenti a lungo termine in cose come CapEx o ricerca e sviluppo? Per dirlo in modo semplice, si tratta di un modo comprovato per spingere il prezzo delle azioni della compagnia.
I riacquisti sono una cosa buona per gli azionisti, compresi i dirigenti senior che tendono ad essere i principali possessori del titolo della compagnia. I riacquisti, però, possono avvenire a discapito degli investimenti in cose come l’assunzione di nuovi dipendenti e la costruzione di nuovi impianti.
Cosa sta spingendo questa moda?
Secondo JPM, quasi metà degli acquisti di quest’anno saranno finanziati con i guadagni inattesi derivanti dal piano di riforme fiscali del governo Trump. La legge, entrata in vigore a dicembre, prevede sgravi fiscali per le aziende dal 35% al 21% ed una tassa una tantum sui profitti conservati oltreoceano che dovrebbe portare ad un livello più alto di rimpatrio dei 2,5 mila miliardi di dollari offshore.
L’altra metà sarà finanziata dai forti utili delle compagnie e dal rimpatrio dei contanti conservati oltreoceano. Nel dettaglio, la ricerca mostra che secondo JP Morgan le compagnie destineranno 100 miliardi di dollari al riacquisto generati dai tagli delle tasse e dall’aumento degli utili, mentre il rimpatrio dovrebbe contribuire con circa 200 miliardi di dollari.
Allo stesso modo, il report di Goldman attribuisce l’impennata di quest’anno dei riacquisti di azioni soprattutto al denaro risparmiato in conseguenza del piano di riforma fiscale del Partito Repubblicano nonché al forte aumento degli EPS (utili per azione). Questa teoria ha completamente ribaltato l’idea che le grandi compagnie statunitensi avrebbero passato i benefici del piano fiscale di Trump ai loro dipendenti, tramite l’aumento dei compensi o i bonus.
Al contrario, è successo che hanno annunciato più di 200 miliardi di dollari di riacquisto di azioni da quando la legge è entrata in vigore tre mesi fa. E questo ha portato ad interrogarsi a Washington e a Wall Street su come stanno venendo usati i nuovi sgravi fiscali per le aziende.
Delle compagnie dell’indice S&P 500, circa il 44% ha intenzione di reinvestire parte dei guadagni degli sgravi fiscali in spese capitali o compensi, mentre il 28% ha dichiarato di volerli utilizzare per aumentare i ritorni degli azionisti, secondo un’analisi degli ultimi utili condotta da Morgan Stanley. Gli analisti prevedono che le compagnie spendano circa il 43% dei loro risparmi in riacquisti e dividendi e il 30% in spese capitali e lavoro.
I leader Democratici hanno definito l’aumento del riacquisto di azioni una prova che il piano fiscale dei Repubblicani favorisce soprattutto le aziende, i dirigenti delle aziende e gli azionisti benestanti, anziché i dipendenti. “Perché è così importante? Perché il riacquisto di azioni non aiuta il dipendente medio”, ha affermato il leader della minoranza al Senato Charles Schumer (Democratico - New York) il mese scorso.
“Viene gonfiato il valore del titolo di una compagnia, il che è vantaggioso principalmente per gli azionisti, non per i dipendenti. Giova ai dirigenti della compagnia che vengono ricompensati con i titoli, non ai lavoratori che vengono pagati con stipendi e bonus”, ha aggiunto.
I sostenitori del piano fiscale, tuttavia, definiscono il rimpatrio del denaro oltreoceano delle compagnie un vantaggio positivo della legge. “Fin quando ci saranno riacquisti di azioni, sarà tutto capitale che viene fatto circolare all’interno dell’economia”, ha riferito il Segretario al Tesoro USA Steven Mnuchin alla Commissione Finanziaria al Senato a metà febbraio.
Anche il nuovo Presidente della Federal Reserve Jerome Powell in occasione della sua testimonianza al Congresso alla fine del mese scorso ha affermato che il denaro restituito agli azionisti ritorna nell’economia. Considerato tutto ciò, una vera risposta non sarà del tutto compresa per mesi o anni, man mano che il nuovo denaro si muoverà nell’economia.
Qual è l’effetto dei riacquisti sui prezzi dei titoli e sulla volatilità?
La recente impennata dei riacquisti di azioni potrebbe dare una spinta ad un mercato rialzista da quasi nove anni in un momento in cui molti investitori sono preoccupati per quanto durerà. Una compagnia che riacquista le proprie azioni è un modo comprovato per spingere il prezzo del titolo.
Secondo i dati sui flussi di fondi della Federal Reserve, le compagnie (tramite il riacquisto di azioni) sono state le principali acquirenti delle azioni statunitensi quotate a Wall Street dal minimo dei mercati del 2009. In effetti, una recente analisi di Credit Suisse rivela che le compagnie non-finanziarie hanno ricomprato titoli azionari USA per un valore netto di 3,3 mila miliardi di dollari, equivalenti al 18% della capitalizzazione di mercato, negli ultimi nove anni. La ricerca mostra inoltre che le società di investimento a capitale variabile e gli ETF hanno effettuato acquisti netti pari a 1,6 mila miliardi di dollari.
Al contrario, famiglie ed enti (assicuratori e fondi pensionistici) hanno venduto per un valore netto, rispettivamente, di 672 miliardi di dollari e 1,2 mila miliardi di dollari nello stesso periodo.
Ciò significa che a partire dalla crisi finanziaria del 2008-09 c’è stato un solo acquirente di titoli negli Stati Uniti: le compagnie stesse.
Questo andamento di impennata della domanda da parte delle compagnie per i titoli USA dovrebbe restare forte nel 2018, secondo le analisi di Goldman Sachs.
La straordinaria richiesta di titoli azionari da parte soprattutto di compagnie a prezzo indiscriminato ha avuto come ripercussione l’annientare la volatilità dei titoli negli ultimi anni.
Christopher Cole, il famoso direttore dell’hedge fund Artemis, di recente ha avvertito che la volatilità è stata depressa artificialmente e pericolosamente per anni come conseguenza del riacquisto. In un report dello scorso ottobre, Cole ha dichiarato:
“I riacquisti di azioni hanno contribuito in gran parte al regime di bassa volatilità perché un acquirente insensibile al prezzo è sempre pronto a comprare sul mercato quando c’è una debolezza. I riacquisti di azioni risultano in una minore volatilità, in una minore liquidità, che a sua volta incentiva ulteriori riacquisti, incentivando ulteriormente strategie passive e sistematiche che riducono la volatilità in ogni loro forma.
Come un serpente che si morde la coda, il mercato non può fare affidamento sui riacquisti di azione a tempo indefinito per nutrire l’illusione di una crescita. L’aumento dei livelli di debito delle compagnie e i tassi di interesse più alti rappresentano dei catalizzatori per far scendere i 500-800 miliardi di dollari di riacquisti annui di azioni, supportando in modo artificiale i mercati e sopprimendo la volatilità".
Di recente, persino Bloomberg ha parlato dei pericoli rappresentati dai riacquisti, spiegando che:
“Le compagnie, negli ultimi dieci anni circa, hanno significativamente aumentato i riacquisti al punto da essere ora i principali acquirenti singoli dei titoli azionari. Alcuni affermano che il mercato si sta auto-cannibalizzando. Un modo più carino per definire la situazione è parlare di un mercato azionario in contrazione”.
Sebbene azionisti e componenti delle compagnie, nonché l’attuale rialzo azionario USA, possano essere i beneficiari a breve termine, chi punta il dito contro i riacquisti definendoli negativi afferma che il persistere di questa situazione renderà il prossimo ribasso molto peggiore rispetto alle recenti mini-correzioni che il mercato ha sopportato.