Venerdì 4 Gennaio
Abbiamo chiuso un anno davvero complicato per i mercati finanziari. E il 2019 non sembra essere cominciato in maniera più tranquilla. Nel 2018 il più seguito indice azionario del pianeta, l’S&P 500, ha perso il 6.25% (che si riduce a un -4.60% considerando correttamente anche i dividendi), il peggior risultato dai tempi della Grande Crisi Finanziaria di 10 anni fa. Un -6% chedi per sé non può rappresentare una catastrofe, specialmente se contestualizzato dallastriscia ininterrotta di anni positivi (+19,4%, +9,5%, -0,7%, +11,4%, +29,6%, +13,4% considerando a ritroso solo i 6 anni precedenti e senza contare i dividendi), ma che per una serie di motivi ha lasciato moltisorpresi e spaventati, ben oltre l’effetto diretto delle perdite effettive: a)praticamente tutti gli altri mercati finanziari hanno fatto peggio (l’unica eccezione che può aver avuto una presenza in un portafoglio convenzionale è il Brasile); b) nessun’altra asset class sembra essere stata in grado di fornire un rifugio/sollievosignificativo garantendo un’adeguata diversificazione; c) le perdite sono maturate in maniera repentina nell’ultimo trimestre proprio quando il raggiungimento di nuovi massimi assoluti aveva fatto credere che la violenta correzione di febbraio non avesse in realtà cambiato le regole decennali del gioco (‘buy-the-dip’).
Credo che ormai anche le analisi più superficiali (o più convenzionali se vogliamo) stiano dando credito alla teoria che qui in JCI portiamo avanti da molti trimestri(insieme a molti altri ovviamente). Ovvero che il regime di continui e relativamente facili(i.e. con volatilità contenuta) guadagni sui mercatifinanziari non poteva reggere a lungo la fase, graduale forse ma inesorabile,di uscita dall’accomodamento monetario estremoa cui le principali banche centrali ci hanno assuefatto per anni. La Fed ha iniziato la riduzione del suo stato patrimoniale (500 bioUSD in 15 mesifinora e 600 bio sono attesi per il 2019)e ha alzato i tassi ufficiali di più di 200bp. L’ECB e la BoJ,con meccanismi differenti,hanno fortemente diminuito (terminato nel caso dell’ECB dall’1 gennaio) i loro acquisti nettipur essendoancora lontane dal poter alzare i tassi. Se questo trend continuasse non credo abbia senso tornare ad aumentare i rischi nei portafogli, nonostante la discesa dei corsi negliultimi 3 mesi sia stata importante e per alcuni versi le valutazioni siano diventate interessanti in assenza di una recessione che si è certo fatta più probabile ma resta ancora uno scenario residuale almeno per i prossimi 12 mesi. La domanda che dobbiamo farci per i prossimi mesi è se la Fed mostrerà anche dalla sua plancia di comando(i.e. Jay Powell e, presumo, Richard Clarida) la flessibilità fatta recentemente trapelare da John Williams(chi Governa la Fed di NYè sempre da considerare una pedina importante) e RobertKaplan (Dallas Fed), sul percorso di riduzione del stato patrimoniale della banca centrale (Fed’s Kaplan: ''Fed must be vigilant when monitoring balance sheet run-off and open to adjustments in the runoff schedule if necessary'').
Fonte: Credit Suisse
L’età dell’instabilità. Della micro struttura dei mercati, fortemente cambiata in questianni (e non in meglio per la loro potenziale stabilità/solidità) abbiamo parlato spesso nei mesi passati. La cause principale del deterioramento sono note: a) l’aumento delle strategie algoritmiche che reagiscono automaticamente e immediatamente almutamento dei prezzi (sia sul mercato a cui sono dedicate sia di mercati di cui si vogliono provare a sfruttare lecorrelazioni); b) un aumento del corto-gammaindirettodovuto al costante aumento delle strategie ‘passive’ nelle scelte (non-scelte) di investimento (ETF, smart-beta, fondi passivi); c) la forte diminuzione delle capacità di magazzino del ‘sell-side’ (i desk bancari di intermediazione) con sempre maggiori vincoli regolamentari che obbligano alla limitazione di rischi e leva. Quando il mercato ha una diminuzione forte della liquidità naturale (mercati chiusi per vacanze o orari particolari) il pragmatico monito ‘può succedere di tutto’ è sempre più all’ordine del giorno. Dal 14 al 24 dicembre l’S&P 500 (l’indice azionario più liquido del pianeta) ha avuto 6 sessioni su 7 con perdite superiori all’1,5%, culminate con un -2,7% la vigilia di Natale per poi esplodere al rialzo (+5%) il giorno di Santo Stefano. Il future sul petrolio (WTI) ha sopportato un -7,3% il 18 dicembre, un -6,7% il 24, per poi vedere un +8,6% il 26. Il tutto senza guerre in Medio oriente, riunioni OPEC o altre notizie di settore di una qualche rilevanza. Nella tarda serata del 2 gennaio (36 ore fa) ho assistito a uno dei movimenti più violenti nell’unità di tempo nell’arena valutaria, che mi sia capitato di osservare in 25 anni di monitoraggio del mondo FX. Anche qui senza un catalizzatore all’altezza. Sicuramente il warning di Apple (NASDAQ:AAPL) sui ricavi del Q1 è stato un fattore, arrivato dopo la campanella di Wall Street in un momento (tra le23 e le 24 CET) in cui l’unico mercato (teoricamente) aperto è proprio quello valutario. Aperto ma senza liquidità con i desk di New York che hanno già chiuso i battenti e quelli asiatici che ancora devono riavviare i computer. Senza market-makers, con le piattaforme di trading praticamente in mano ad algoritmi incuranti di livelli sempre meno realistici, il USD/JPY, il cross più scambiato al mondo dopo l’EUR/USD, si è schiantato da 109 a 104,10 (minimo riportato dalla piattaforma EBS, la più usata come riferimento) in pochissimi minuti, risalendo poi con quasi altrettanta solerzia sopra 107. Il movimento è stato ancora più ampio su altri cross dello yen come l’AUD/JPY (6%) o il TRY/JPY (oltre 10%). Qualcosa di simile era successo nell’ottobre 2016 alla sterlina. Quello dei flash-crash non è un fenomeno nuovo nell’FX e altrove (sotto una tabella in cui vengono ricordati casi più celebri per le valute principali negli ultimi 10 anni). L’impressione però è che la loro frequenza possa aumentaree soprattutto che possano avvenire per motivazioni sempre più futili: non si può paragonarecome rilevanzal’annuncio Apple di mercoledì sera con le azioni attuate (metti il floor / togli il floor) della SNB anni fa. L’unico consiglio che si può dare in questi casi è che nel mettere in piedi una posizione/effettuare un invesimento sarà sempre più importante scegliere una dimensione del trade in grado di sopportare (i.e. non avere bisogno di una stop che non porterebbe nessun beneficio) simili movimenti, sempre imprevedibili, ma sempre più possibili.
Fonte: HSBC –Brent Donnelly
Growth-scare. Nell’ultima fase (i.e. il crollo di dicembre) a pesare sui mercati non è però stato solo un problema di liquidità in diminuzione dovuto al tightening più o meno volontario innescato dalle banche centrali (dalla Fed soprattutto) ma anche i timori crescenti che un effettivo rallentamento dell’economia reale possa trasformarsi i qualche cosa di più sinistro. Proprio negli ultimi giorni i dati macro hanno ulteriormente alimentato questa preoccupazionecon gli indici di attività manifatturiera, le rilevazioni a cui gli analisti guardano per avere un polso il più possibile ‘real-time’ della congiuntura economica, in visibile calo praticamente ovunque. Il primo dell’anno in Cina sono scesi sotto la soglia del 50 entrambi gli indici (quello statale e il Caixin, che rileva anche il mondo della piccola-media impresa). Ieri l’ISM manifatturiero americano ha chiuso il giro di dati globalmente deludenti con un crollo da 59,3 a 54,1 che era solo parzialmente atteso (exp. 57.5) dopo che molti del PMI regionali si erano contratti nelle scorse settimane. Particolarmente forte il calo della componente dei nuovi ordini (da 62,1a 51,1) considerato il datoche più guarda all’evoluzione prospettica della situazione.Il quadro d’insieme è quello di un chiaro rallentamento indebolimento dell’economia globalecon ben 10 paesi sui 35 monitorati (11 per quanto riguarda la componente relativa ai nuovi ordini) che hanno pubblicato un PMI manifatturiero sotto 50, la percentuale più alta da metà 2016. Molti sono tra l’altro paesi con un peso importante sull’economia globale, come Cina, Francia, Italia, Messico, Corea del Sud Korea, Taiwan.In controtendenzaè arrivato il dato sull’occupazione americana ADP (in attesadei Payrolls oggi), nettamente superiore alle attese (271k posti di lavoro creati vs 180k exp.) ma il suo impatto è stato sostanzialmente ‘scartato’ da un mercato molto più sensibile alla narrativa recessiva peraltro alimentata anche dal contesto micro dove annunci come quello di Apple (ricavi per il Q1 rivisti significativamente al ribasso a causa del rallentamento cinese) rinforzano timori e preoccupazioni in questa direzione.
Le ‘put’ più vicine e l’eccessivo pessimismo sono fonte di conforto. La view su queste pagine è stata a lungo tra il cauto e il negativo con qualche spiraglio (non sempre tempestivo) di ottimismo tattico,generalmente a causa di un sentiment che percepivo occasionalmente come eccessivamente negativo da parte di analisti e/oinvestitori. Dopo le forti perdite di dicembre e l’impatto che questo ha avuto su posizionamento e fiducia del mercato ho ora un atteggiamento più costruttivo cercando di mantenere un orizzonte temporale relativamente corto (qualche settimana). Se l’S&P 500 tornasse sotto quota 2400, come successo brevemente sotto Natale, credo che non ci troveremmo lontani da una Powell-put, ovvero una situazione di instabilità in grado di generare un importante cambio di rotta da parte della Fed. Ormai la curva già sconta che nel 2019 non arrivino altri rialzi ma addirittura sia possibile un taglio (ieri dopo l’ISM si è arrivato a prevedere 75% di probabilità che un 25bp cut venga implementato nei prossimi 12 mesi) ma è soprattutto sul fronte della smobilitazione dello stato patrimoniale (i.e. il famigerato QT) che un rallentamento/arresto delle operazioni sarebbe in grado di innescare un’importante supporto. L’altra ‘put’ che bisogna tener presente è quella di Trump. La sua ossessione per Wall Street è nota e l’evoluzione degli ultimi 3 mesi non può che aver intaccato la sua principale arma di marketing in vista delle presidenziali del 2020: lo stato di salute delle tasche e dei portafogli degli americani. Sono due put destinate a fallire come supporto di lungo periodo ma che non può essere sottovalutata in questa fase.
Oggi Payrolls (2.30pm) e Powell (4:15pm). Il dato mensile sull’occupazione sarà monitorato con attenzione come sempre. Il Governatore parlerà in un panel con Ben Bernanke e Janet Yellen e, per tutti i motivi ricordati sopra, sarà ascoltato con la massima attenzione. Buon w/e.
Il desk rimane come sempre a disposizione per ulteriori approfondimenti.
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