"Il mondo è mondo: c’è chi sale e chi va a fondo!" (Proverbio napoletano)
L’indice dei prezzi al consumo Usa nel mese di novembre sarà il principale driver dei mercati prima della riunione della Fed (il Fomc) della prossima settimana. Se dovessero arrivare conferme che il picco di inflazione è stato raggiunto, ci sarebbero tutte le condizioni per una prosecuzione del rally. In attesa del Fomc, tra ieri e oggi abbiamo avuto una prima anticipazione dalle banche centrali australiana e canadese. Questi istituti hanno sempre anticipato le mosse della Fed e infatti i rialzi sono stati rispettivamente di 25 e 50 punti base con l’indicazione di ulteriori aumenti in futuro. Nel frattempo è tornata a farsi sentire la volatilità. Gli analisti sono fiduciosi che la prossima settimana il rialzo dei tassi sarà di "soli" 50 punti base, ma il dubbio resta sempre quello del terminal rate e su quanto la stretta monetaria proseguirà. Il Ceo di JPMorgan (NYSE:JPM) Chase, Jamie Dimon, ha dichiarato che l'inflazione potrebbe far precipitare l'economia statunitense in recessione il prossimo anno. I consumatori hanno $1,5 trilioni di risparmi in eccesso dai programmi di stimolo alla pandemia di Covid e stanno spendendo il 10% in più rispetto al 2021. L'inflazione sta erodendo i risparmi, e il trilione e mezzo finirà a metà anno del prossimo anno. In questa prospettiva l'economia Usa potrebbe deragliare e causare una recessione lieve o dura. I tassi di interesse al 5% potrebbero non bastare. Risultato: in due sedute Wall Street ha perso il 5% tornando sui livelli di metà novembre.
La Cina è speranza
Nelle comunicazioni ufficiali il governo di Pechino ha eliminato la parola zero covid e avviato un programma di vaccinazione di massa. Siamo di fronte a un “rilassamento” rispetto la strategia del lockdown. Anche le tensioni con gli Usa si stanno affievolendo a cominciare dal recente incontro tra Biden e Xi, al G20. Il sentiment, al netto delle notizie provenienti dalle banche centrali, è quindi positivo per i mercati da questo punto di vista. Contesto che può portare benefici anche per Piazza Affari, dal momento che non c’è un rischio politico in Italia, con lo spread stabilmente sotto i 190 punti, e un rendimento del Btp a 10 anni sotto il 4%, allineato con il treasury a 10 anni. Ciliegina sulla torta, secondo gli ultimissimi report di Istat e Fitch, l'Italia, anche nel 2023, farà segnare incremento del Pil. Eppure l’indice FTSE Mib ieri è stato il peggiore d’Europa, con un ribasso superiore all’1%. La prospettiva di un rally di fine anno è ancora visibile, ma occorre avere nervi saldi.
Che fare nel 2023?
Come stanno ragionando gli investitori per impostare le proprie strategie per il 2023? Osservando i flusso finanziario, rappresentato dai rendimenti delle obbligazioni e dagli indici di Borsa, emerge come si stia tornando a investire nell’obbligazionario, mentre l’azionario sia in difficoltà. Non una cattiva notizia, dal momento che si tratta di una situazione “normale” in un momento in cui soffiano venti di recessione. Nel 2022 abbiamo invece assistito a un’ambiente “anormale” dove le Borse scendevano e i rendimenti salivano, ovvero tutte le attività finanziarie venivano vendute, per fare cassa. Ma tenere i soldi in tasca, quando c’è inflazione, è sempre la scelta peggiore. Il 2023, inizia invece con l’inflazione in calo e i capitali che tornano ad essere investiti. Nella prima parte dell’anno, se dovesse manifestarsi effettivamente una recessione, l’obbligazionario potrebbe rivelarsi la scelta giusta, ma nella seconda parte, quando l’economia tornerà forse, a crescere, i capitali dovrebbero muoversi velocemente verso il mercato azionario. In questo contesto c’è però un’asset class che non conosce crisi: le small cap. Le piccole e medie imprese di eccellenza continuano ad essere acquistate dagli investitori come dimostra l’IPO avvenuta ieri su Euronext (EPA:ENX) Growth Milan, che sarà seguita da altre operazioni la prossima settimana, tutte curate da Integrae Sim.