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Oil & Gas - Putin chiude i rubinetti, Eni più forte di prima

Pubblicato 12.07.2022, 09:34
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Ridotto di un terzo il flusso di gas inviato da Gazprom all’Italia mentre si ferma NordStream 1. Goldman Sachs (NYSE:GS) prevede che il prezzo del greggio salga a 140 dollari al barile. Per il Cane a sei zampe il 2022 sarà un anno di redditività record

Gazprom invia solo 21 milioni di metri cubi in un giorno.

La Russia di Putin sta chiudendo i rubinetti del gas all’Europa con una mossa che bolla come patetiche le discussioni dei mesi scorsi fra i leader europei sull’opportunità o meno di continuare ad approvvigionarsi dal nemico. Secondo l’annuncio di Mosca, il gasdotto NordStream 1 che porta il gas dalla Russia alla Germania si fermerà per una decina di giorni per una manutenzione programmata, ma sono forti i dubbi sulla sua riapertura.
Lunedì 11 luglio Eni (BIT:ENI) ha annunciato che Gazprom ha tagliato a 21 milioni di metri cubi al giorno l’invio di gas all’Italia, rispetto ai 32 milioni di metri cubi che Eni riceveva nei giorni scorsi. Si tratta di un terzo in meno. Germania e Italia sono i due Paesi europei più dipendenti dal gas russo: per Berlino rappresentava prima della guerra il 60% del totale dei consumi di gas, per Roma il 40%.

Il ministro Cingolani: nel 2024 indipendenti dalla Russia.


Evidentemente, nella gara fra Russia ed Europa a diversificare le controparti dei contratti energetici, Mosca è stata più veloce e ora può sopperire alle mancate vendite verso i Paesi Ue con maggiori flussi verso la Cina e l’India.
La situazione attuale dell’Italia l’ha puntualizzata lunedì il ministro Roberto Cingolani: “Nei prossimi due anni avremo un crescente numero di nuovi fornitori che ci permetterà di essere ragionevolmente indipendenti dalla Russia nella seconda metà del 2024, ma l’inverno 2022 sarà un po’ più delicato”.

La Russia chiude il terminal di esportazione del petrolio kazako.


Non ci sono dubbi che per Putin gas e petrolio siano armi da usare contro i Paesi europei che sostengono l’Ucraina. Bruxelles annuncia l’embargo sul petrolio russo? Se non avrà il nostro greggio, non avrà neanche quello del Kazakhstan, è la risposta di Mosca.
La settimana scorsa un giudice della città russa Novorossiysk ha ordinato al Caspian Pipeline Consortium (CPC) di fermare per 30 giorni il terminal di esportazione sul Mar Nero, dove le petroliere caricano il greggio kazako. Con questa mossa al mercato mondiale dell’energia vengono a mancare 1,5 milioni di barili al giorno. Ovviamente Putin non dice che è una sua decisione, ma è una scelta autonoma della magistratura a fronte di inadempienze della società che gestisce l’oleodotto. Per chi vuole crederci… Normalmente i due terzi del greggio esportato attraverso il CPC arrivano in Europa centrale, dopo essere scaricati nel porto di Trieste.

Le due visioni sul petrolio: Goldman Sachs contro Citigroup (NYSE:C).


Secondo un’analisi di Bloomberg, nel mese di giugno le esportazioni da Azerbaijan, Kazakhstan, Libia, Mare del Nord e West Africa, tutti principali fornitori dell’Europa, sono scese di oltre 1 milione di barili al giorno.
In questo scenario si confrontano le due visioni antitetiche su dove andrà il prezzo del petrolio nei prossimi mesi, quella rialzista di Goldman Sachs e quella ribassista di Citigroup.


Citigroup si rifà alla crisi degli Anni ’70 del secolo scorso e dice che se arriverà la recessione il greggio potrebbe scendere a 65 dollari al barile entro fine anno e a 45 dollari entro il 2023. Ma la recessione arriverà? Gli economisti di Citigroup per ora non se la aspettano negli Usa.
In una nota diffusa giovedì 7 luglio, Goldman Sachs dice che “la mobilità rimane solida a livello globale, continua il forte recupero in Cina e il mercato globale del petrolio è indirizzato verso un deficit di un milione di barili al giorno”.


Secondo Goldman le materie prime resisteranno ai rischi di recessione negli Stati Uniti e in Europa nei prossimi 12 mesi, “grazie allo stimolo anticiclico su larga scala della Cina”. La banca prevede per le materie prime rendimenti del 34,4%, 30,4% e 36,9% rispettivamente su un periodo di tre, sei e 12 mesi sull'indice S&P/GSCI Goldman Sachs Commodity Index (GSCI), aggiungendo che le materie prime sono una “grande copertura macro” che non può mancare per proteggere un portafoglio multi-asset.
Inoltre Goldman Sachs dice che se arriverà, la recessione non sarà severa e avrà uno scarso impatto sulla domanda di energia. Da qui i suoi target price che indicano fra 12 mesi un prezzo del Brent a 140 dollari al barile e a 137 dollari per il Wti.

Eni si avvia a chiudere il 2022 con una redditività record.


Condividiamo lo scenario di Goldman Sachs ed Eni ci sembra una delle società che meglio può avvantaggiarsi degli alti prezzi del greggio. Non solo per l’immediato sostegno che il barile dà all’utile e al dividendo, ma anche e soprattutto perché un petrolio più caro renderà ancora più convenienti i forti investimenti nelle rinnovabili che il gruppo sta facendo.


Dall’inizio dell’anno le quotazioni di Eni sono scese del 10% per il timore che il gruppo abbia dei contraccolpi a causa delle sanzioni verso la Russia. In realtà Eni e il governo italiano sono stati molto veloci a cercare nuovi contratti di approvvigionamento di gas e petrolio in Algeria, Egitto, Qatar, Mozambico, Nigeria, Congo.


Gli analisti non prevedono di modificare le stime di redditività del gruppo in seguito a questi nuovi contratti. Il consensus prevede che Eni realizzi nel 2022 un fatturato di 111,3 miliardi di euro e un Ebit di 19,3 miliardi con un margine operativo del 17,4%, il più alto degli ultimi sei anni.


Gli analisti hanno una visione molto positiva del gruppo, con 17 raccomandazioni di acquisto su 23 esperti che coprono il titolo. La media dei target price è 16,4 euro, un obiettivo di prezzo più alto del 46% rispetto alle quotazioni attuali.

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