- Anche dopo l’inflazione e la decisione della Fed, dare un prezzo al barile potrebbe non essere semplice
- I tori del petrolio scommettono sulla domanda estiva e sull’inasprimento delle scorte
- Gli orsi parlano dell’incertezza economica e delle scorte con i tagli dei sauditi
Dopo la pubblicazione dei dati di oggi sull’inflazione e la decisione sui tassi della Fed di domani, i trader del petrolio si ritroveranno a dover capire quale sia il “reale” valore di un barile. E potrebbe essere molto complicato.
Per quanto riguarda i tori, è estate e dovrebbe esserci un’impennata della domanda per i viaggi, nonché per il raffrescamento. E questo idealmente dovrebbe comportare prezzi del petrolio molto più alti.
Quanto più alti? Beh, se il desiderio dei sauditi dovesse realizzarsi, il Brent, il riferimento globale scambiato a Londra, dovrebbe avvicinarsi ai 90 dollari al barile nei prossimi due mesi, con occasionali rimbalzi intorno a 95 o persino 100 dollari.
Tuttavia, è difficile avere simili aspettative quando il più grande fan delle materie prime a Wall Street sta abbassando le sue previsioni sul prezzo del barile. Goldman Sachs, che prevedeva 95 dollari a fine anno per il Brent, ieri ha annunciato di aver abbassato la stima ad 86 dollari.
Per quanto riguarda il West Texas Intermediate, o WTI, il riferimento USA, Goldman ha tagliato la sua previsione da 89 ad 81 dollari.
Grafici di SKCharting.com con i dati di Investing.com
Non è solo la svolta di Goldman sui prezzi ad essere preoccupante.
Anche se la lettura di maggio sull’inflazione USA dovesse essere abbastanza positiva perché la Federal Reserve sospenda gli aumenti dei tassi a giugno per la prima volta dopo 15 rialzi, la banca ha segnalato che tornerà ad un inasprimento a luglio se le condizioni dell’inflazione lo dovessero rendere necessario.
Questa cautela arriva mentre l’economia statunitense continua a segnalare che sta andando bene nonostante la paura di una recessione aumenti di giorno in giorno, sia in America che in Europa. E la Banca Centrale Europea non ha intenzione di cedere immediatamente sugli aumenti dei tassi.
Arrivano segnali misti anche dalla Cina, la seconda economia mondiale nonché principale acquirente di petrolio e di quasi tutte le altre materie prime.
I dati economici cinesi rivelano che l’economia è cresciuta del 4,5% su base annua, rispetto al 4,0% previsto. Tuttavia, malgrado questa crescita, il trade del petrolio si è focalizzato sulle esportazioni, crollate del 7,5% su base annua a maggio rispetto alle previsioni di un calo di appena lo 0,4% ed il ribasso peggiore da gennaio.
Ma i tori hanno anche un altro problema, o meglio, un vecchio problema che minaccia di riaffacciarsi: l’offerta del leader supremo iraniano di riaprire i negoziati con l’Occidente per un accordo nucleare che potrebbe riportare il petrolio iraniano su un mercato già preoccupato per la domanda.
L’Ayatollah Ali Khamenei ha affermato che un accordo sarebbe possibile se l’infrastruttura nucleare iraniana restasse intatta. I suoi commenti arrivano qualche giorno dopo la smentita, sia da parte di Teheran che di Washington, che fosse vicino un accordo nucleare provvisorio.
La Russia, intanto, continua ad esportare tutto il petrolio che può, al minor prezzo possibile, all’India e alla Cina. E all’Occidente non sembra importare che il petrolio russo venga rivenduto come prodotti indiani e cinesi, purché Mosca non guadagni più di 60 dollari al barile, il limite stipulato dal G7.
Come se non fosse abbastanza, gira voce che la compagnia petrolifera nazionale di Riad, Saudi Aramco (TADAWUL:2222), abbia promesso di fornire pieni volumi di greggio alle raffinerie asiatiche, malgrado stia dicendo che taglierà il 20% della sua regolare produzione.
Considerati i loro onerosi requisiti di bilancio, i sauditi hanno bisogno che il Brent arrivi ad 80 dollari il prima possibile. Questo significa che il WTI dovrebbe aggirarsi intorno ai 75 dollari, visti i soliti 5 dollari di differenza col Brent.
All’attestazione di ieri a New York, nessuno dei due era vicino a questi prezzi. Il WTI ha chiuso in calo del 4,4% a 67,12 dollari al barile, dopo un minimo della seduta di 66,83 dollari. In precedenza, aveva perso il 3,5% in due settimane. Il Brent ha terminato la seduta di ieri a New York a 71,84 dollari al barile, in calo di quasi il 4%. Ha perso il 2,8% nelle due settimane precedenti.
Rappresenta un voto di sfiducia nei confronti degli sforzi dei sauditi per spingere il mercato.
Nel corso dei tre tagli alla produzione annunciati da ottobre, i sauditi si sono offerti di eliminare 2,5 milioni di barili dalla loro regolare produzione giornaliera di 11,5 milioni.
La scorsa settimana, hanno offerto il loro ultimo taglio da un milione di barili al giorno. E questo dopo che i loro 12 partner dell’OPEC e 10 altri alleati, compresa la Russia, tutti membri del gruppo OPEC+, hanno deciso di lasciare invariata la produzione.
Il ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ha parlato di questo taglio come di uno “zuccherino”, un regalino per chi vuole dei prezzi più alti. Invece, una settimana dopo il suo tentativo di sorprendere positivamente il mercato, i trader sono rimasti sorpresi da quanto stesse andando in direzione opposta ai desideri di Riad.
Il tonfo del 4% di ieri è stato un esempio di un mercato che raramente si è ritrovato in linea con i sauditi negli ultimi sette mesi.
Dal primo dei tre tagli ad ottobre, il Brent solo brevemente ha raggiunto i 99 dollari prima di tornare verso il supporto di 70 dollari in numerose occasioni. Il massimo del WTI è stato di quasi 94 dollari, rispetto ai minimi di meno 64 dollari ad un certo punto.
I grafici tecnici di entrambi i riferimenti suggeriscono la possibilità di ribassi maggiori.
“Gli orsi del petrolio puntano alla media mobile semplice su 100 mesi di 59,60 dollari per il WTI”, afferma Sunil Kumar Dixit, chief technical strategist di SKCharting.com.
Per il Brent, c’è la possibilità “di un calo alla SMA su 100 mesi di 64 dollari per un esteso periodo di tempo”, aggiunge.
Ma i tori non smettono di sperare nei sauditi.
Phil Flynn, a capo delle ricerche sugli energetici del Price Futures Group a Chicago, afferma:
“Continuiamo ad aspettarci che il mercato veda una tensione delle scorte e, nel corso dell’anno, penso che gli aumenti a breve termine delle scorte russe e la percezione che l’economia cinese abbia raggiunto un blocco stiano ancora dando al mercato un falso senso di sicurezza”.
Per quanto riguarda le voci su Saudi Aramco e le raffinerie asiatiche nonostante i tagli promessi, spiega che le riduzioni si avranno altrove. “I tagli verso gli USA ed altri posti saranno molto più pronunciati. Le importazioni statunitensi di greggio saudita sono già scese a minimi pluriennali”.
Flynn avverte anche che i soldi degli speculatori si stanno esaurendo rapidamente, rendendo i prezzi vulnerabili ad un brusco rialzo che non si potrà fermare facilmente. A dimostrazione della riduzione dell’attività speculativa, fa notare come l’indice sulla volatilità del prezzo del petrolio abbia toccato il minimo dal 2019.
“Il brusco calo suggerisce che questo mercato potrebbe vedere una svolta nell’immediato futuro. Potrebbe essere un momento perfetto se siete bullish per iniziare a comprare strategie di opzioni, perché sono le più convenienti da molti anni”.
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Nota: L’autore, Barani Krishnan, non possiede e non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.