“Io ho quel che ho donato” (Gabriele D’Annunzio)
Causa chiusura di Wall Street la seduta di ieri è stata fiacca per i listini mondiali. L’indice MSCI è salito dello 0,06%, poco meglio ha fatto lo Stoxx 600, in crescita dello 0,17%. In rosso Piazza Affari, indice FTSE Mib -0,18%, con l’eccezione dell’FTSE Small Cap cresciuto dello 0,25%. Oggi si torna a fare sul serio con la riapertura delle Borse cinesi dopo la pausa per il capodanno. L’anno del drago inizia con gli indici sui minimi da 5 anni. In occidente il calendario macro è ancora scarico in attesa della giornata di giovedì quando sarà diffusa l’inflazione nella zona euro. Il market mover della settimana che potrebbe indicare la strada alla Bce, ovvero la manovra monetaria espansiva attesa da mesi e che potrebbe concretizzarsi ad aprile in anticipo rispetto alla Fed. Il disallineamento tra le politiche monetarie si inizia a vedere anche nel mercato dei titoli di Stato con il Treasury 10 anni che staziona intorno al 4,3% di rendimento, ben oltre quello del BTP a 10 anni che tratta al 3,8%. Questo nonostante gli Usa abbiano un rating doppia A mentre l’Italia è prossima al “non investment grade”, e l’evidente gap tra le due economie sul piano della crescita: nel 2024 il nostro Paese dovrebbe chiudere con un rialzo frazionale del Pil, +0,6% secondo le ultime rilevazioni di Prometeia, mentre gli Usa del +2,1%, secondo l’FMI.
BTP Valore e i suoi fratelli
Al via una nuova emissione del BTP Valore, la famiglia di titoli di Stato dedicata esclusivamente ai piccoli risparmiatori (taglio minimo 1.000 euro) che inizierà lunedì 26 febbraio per concludersi venerdì 1 marzo (fino alle ore 13), salvo chiusura anticipata. II BTP Valore è la famiglia di titoli di Stato dedicata solo ai risparmiatori individuali e affini (retail), senza vincoli né commissioni, con cedole periodiche crescenti (step-up) e un premio finale extra di fedeltà riservato a chi avrà acquistato il titolo all’emissione e lo avrà detenuto fino a scadenza. Venerdì 23 febbraio verranno invece comunicati i tassi minimi garantiti. Si tratta della prima emissione del 2024 che punta a confermare i buoni risultati delle emissioni precedenti: nel 2023 in 2 tranche sono stati raccolti quasi €40 miliardi. Sul mercato c’è sicuramente molto appetito per questo tipo di emissioni. È il caso del bond Unicredit (BIT:CRDI), emesso sul mercato Mot di Borsa Italiana e sul sistema multilaterale di negoziazione EuroTlx, con scadenza nel 2037, che per i primi tre anni garantisce una cedola lorda del 7,7% annuo, pagata su base annuale. Da febbraio 2027 e per i successivi 10 anni il meccanismo cambia: la cedola lorda diventa variabile, pari al tasso Euribor 3 mesi (con un minimo 0 e un massimo del 7,7% annuo), pagata su base annuale. Attualmente il tasso di riferimento è al 3,93%. Il taglio minimo è fissato a 10mila euro, la tassazione su cedole e plusvalenze è del 26%, rispetto al 12,5% dei titoli di Stato.
Finché c’è guerra
Nella settimana che coincide con il secondo anniversario dello scoppio delle guerra tra Russia e Ucraina, il mercato si interroga sul futuro dei titoli dell’industria militare. Si sono anche chiusi i battenti della conferenza Monaco di Baviera sulla Sicurezza che ha conciso anche con la riunione dei ministri degli esteri del G7. Una vera e propria Davos della difesa, che si tiene dal 1940. Un luogo di incontro tra Est e Ovest che fa il punto della situazione dei rapporti internazionali in materia militare. La notizia più importante è stata certamente la conferma della solidità del patto atlantico e il riconoscimento della Russia come stato aggressore. In questo contesto di perdurante “guerra tiepida” l’industria militare, in Borsa, gode di ottima salute: all’interno dell’indice Stoxx 600 i titoli “difesa e spazio” hanno guadagnato oltre il 35% nell’ultimo anno, tornando su livelli che non vedevano da quasi 20 anni. È il caso di Leonardo, posizionato sui massimi dal 2008. E in futuro le cose potrebbero andare ancora meglio. La Nato spinge per portare la spesa per la difesa al target del 2% del Pil dei Paesi che fanno parte dell’alleanza. Donald Trump ha dichiarato che in caso di vittoria elettorale gli Usa non si faranno più carico di spese Nato di carattere organizzativo che non gli competono e gli alleati dovranno investire di più per garantirsi il suo appoggio. Uno scenario che tuttavia favorirà principalmente le società statunitensi e inglesi che occupano i primi 10 posti della classifica mondiale nella produzione di armamenti. Per trovare il primo player europeo occorre scendere sino all’undicesima posizione.