Il Financial Stability Board e il Comitato di Basilea si sono mossi avendo ben presenti due necessità: da un lato, assicurare una riforma rigorosa, capace di promuovere un sistema finanziario più stabile; dall’altro, minimizzare le potenziali ricadute negative della riforma sulla crescita economica, soprattutto in una fase di ripresa ancora incerta, quale quella attuale.
Le proposte di riforma rese note lo scorso settembre hanno suscitato sul mercato reazioni diverse. Da un lato, banche e imprese hanno lamentato un’eccessiva severità del nuovo framework, preoccupate rispettivamente del costo associato a più elevati
requisiti di capitale e delle possibili ricadute sul finanziamento degli investimenti e dunque sulla ripresa economica. Dall’altro lato, alcuni osservatori hanno considerato le proposte non sufficientemente incisive; si sostiene che le nuove regole non comporterebbero un effettivo miglioramento della solidità patrimoniale in quanto le banche già avrebbero mezzi patrimoniali sostanzialmente in linea con i nuovi requisiti.
Inoltre la fase transitoria sarebbe così lunga che eventuali necessità di capitale sarebbero facilmente soddisfatte con l’autofinanziamento.
Nei mesi scorsi le autorità hanno condotto analisi volte a stimare il possibile impatto della riforma sulla crescita economica. Le analisi sono state condotte con riferimento ai paesi del G20 e hanno stimato sia i costi di breve-medio periodo sia i benefici netti di
lungo periodo.
In merito ai costi della transizione, l’analisi si è concentrata sui prossimi 8 anni. Per tutti i paesi considerati nel campione è stato calcolato l’impatto che la regolamentazione avrebbe sulla crescita economica attraverso il canale di trasmissione dei tassi d’interesse.
Per alcuni paesi, compresa l’Italia, sono state calcolate anche stime dell’effetto di fattori “non di prezzo” (razionamento del credito).
I risultati indicano che un aumento di un punto percentuale del rapporto di capitalizzazione, realizzato in un arco temporale di 4 anni, si rifletterebbe in un tasso di crescita annuo del PIL inferiore di circa lo 0,04 per cento, nei prossimi 4-5 anni, rispetto
a quello che si sarebbe realizzato in assenza della riforma.
Potenzialmente importante risulta il ruolo del razionamento del credito, anche se la valutazione quantitativa è alquanto incerta. Tenendo conto dell’effetto di razionamento insieme a quello di prezzo, un aumento di un punto percentuale del rapporto di capitalizzazione, realizzato in un arco temporale di 4 anni, si rifletterebbe in un tasso di
crescita annuo del PIL inferiore a quello che si sarebbe realizzato in assenza della riforma per un valore compreso tra lo 0,08 e lo 0,12 per cento. I due requisiti di liquidità avrebbero l’effetto di ridurre il tasso di crescita annuo del PIL di un ulteriore 0,02 per
cento.
L’analisi delle ricadute della riforma prudenziale sull’economia italiana è stata condotta utilizzando il modello econometrico trimestrale della Banca d’Italia. I risultati sono confluiti nelle stime appena discusse.
Per il nostro Paese, un aumento di un punto percentuale del rapporto di capitalizzazione, realizzato in un arco temporale di 4 anni, produrrebbe nei prossimi 4-5 anni un tasso di crescita annuo del PIL inferiore di circa lo 0,1 per cento rispetto a quello che si sarebbe realizzato in assenza della riforma. Questa stima tiene conto sia degli effetti di prezzo sia degli effetti di quantità, che anche per il nostro Paese sarebbero quelli prevalenti. Essa è pertanto complessivamente in linea con quelle relative ai principali paesi. Anche l’effetto dell’introduzione dei requisiti di liquidità risulta coerente con le evidenze ottenute per la media degli altri paesi.
Riassumendo, la reattività dell’economia italiana a un inasprimento dei requisiti di capitale e di liquidità appare in linea con quella che si riscontra nelle principali economie mondiali.
Le analisi condotte hanno stimato anche i costi e i benefici di medio-lungo periodo della riforma. La maggiore solidità del sistema finanziario indotta dalla riforma ridurrebbe la probabilità di crisi finanziarie e delle connesse importanti ricadute negative sulla crescita economica; ricordo che in Italia nel biennio 2008-09 la caduta del prodotto è stata pari ad oltre il 6 per cento. Nel complesso, i benefici della riforma in
termini di crescita economica supererebbero ampiamente i relativi costi.
![Reazione del mercato alla vittoria elettorale di Trump nel 2016](https://i-invdn-com.investing.com/news/LYNXMPEA7H0NX_S.jpg)
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