Se gli effetti sociali e politici del crimine organizzato sono riconosciuti e
studiati, quelli economici lo sono meno. Ma non sono meno pericolosi. Fra i
primi a individuare e a misurare i costi del crimine per una economia fu Gary
Becker negli anni Sessanta, con studi che concorsero a valergli il premio Nobel2.
I costi delle attività delittuose per la collettività, che si aggiungono ai danni
inflitti alle singole vittime, s’innalzano a dismisura se il crimine è organizzato.
Ad esempio, le estorsioni, oltre a sottrarre direttamente risorse agli imprenditori
assoggettati al racket, disincentivano gli investimenti nella economia locale.
In una economia infiltrata dalle mafie la concorrenza viene distorta, per
molte vie: un commerciante vittima del racket può finire con il considerare il
“pizzo” come il compenso per un servizio di protezione contro la concorrenza nel
suo quartiere; il riciclaggio nell’economia legale di proventi criminali impone
uno svantaggio competitivo alle imprese che non usufruiscono di questa fonte di
denaro a basso costo; i legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica
amministrazione condizionano la fornitura di beni e servizi pubblici.
Un nostro studio ha documentato come nelle economie a forte presenza
criminale le imprese pagano più caro il credito3; in quelle aree è più rovinosa la
distruzione di capitale sociale dovuta all’inquinamento della politica locale; i
giovani emigrano di più; tra di essi, quasi un terzo è costituito da laureati che si
spostano al Nord in cerca di migliori prospettive. Quest’ultimo fenomeno è
particolarmente doloroso: l’inquinamento mafioso piega le speranze dei giovani
onesti e istruiti, che potrebbero migliorare le comunità che li generano e invece
decidono di non avere altra strada che partire.
2 Gary S. Becker, 1968, "Crime and Punishment: An Economic Approach," Journal of Political Economy,
University of Chicago Press, vol. 76, pages 169-217.
3 Emilia Bonaccorsi di Patti, 2009, "Weak institutions and credit availability: the impact of crime on bank loans,"
Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), 52, Banca d’Italia.
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Tutti questi costi frenano lo sviluppo economico dei territori coinvolti,
dell’intero Paese. A indicarlo c’è innanzitutto una semplice constatazione: il
Mezzogiorno, in cui è maggiore la presenza della criminalità organizzata, è anche
l’area italiana dal prodotto pro capite più basso. Tuttavia questa correlazione non
basta a provare l’assunto: i fattori che influenzano negativamente lo sviluppo
economico al Sud possono essere tanti e interconnessi4.
Per isolare l’effetto della presenza mafiosa sulla crescita economica da
quello di ogni altra causa, abbiamo condotto in Banca d’Italia, su sollecitazione
della Commissione Antimafia, un’analisi intorno alle due regioni meridionali
oggetto di più recente infiltrazione da parte della criminalità organizzata, la
Puglia e la Basilicata; si è confrontato lo sviluppo economico in queste due
regioni nei decenni precedenti e successivi al diffondersi del contagio mafioso,
avvenuto verso la fine degli anni ’70, con quello di un gruppo di regioni del
Centro Nord che avevano simili condizioni socio-economiche iniziali5.
I risultati empirici mostrano che, in concomitanza con il contagio, Puglia e
Basilicata sono passate da una crescita del prodotto pro capite che era più rapida di
quella del gruppo di regioni inizialmente simili a una più lenta: nell’arco di trenta
anni, all’insorgere della criminalità organizzata sarebbe attribuibile una perdita di
PIL di 20 punti percentuali, essenzialmente per minori investimenti privati.
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