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La crisi e la risposta delle politiche economiche

Da Banca d'Italia09.05.2011 09:18
 

La crisi, iniziata in un comparto marginale rispetto alle dimensioni del
centro finanziario più grande del mondo, si è trasmessa a tutti i mercati del
globo, finendo con l’investire le economie reali, soprattutto nei paesi avanzati.
Crollata la fiducia, con mercati interbancari paralizzati dal timore di insolvenze,
l’inaridirsi del credito ha fatto cadere il commercio internazionale, gli
investimenti e i consumi.
Nel 2009, per la prima volta dalla fine della guerra, il prodotto mondiale
è diminuito: nei paesi industriali, di quasi 3,5 punti percentuali; nei paesi
dell’area dell’euro, di oltre 4. Dal 2008 si sono persi otto milioni di posti di
lavoro negli Stati Uniti, oltre tre nell’area dell’euro.
Inizialmente la risposta della politica economica è stata tempestiva e
coordinata a livello internazionale. L’ammontare di liquidità immesso sui
mercati dalle autorità monetarie, in gran parte con misure non convenzionali,
e il sostegno fornito alle economie dai bilanci pubblici non hanno precedenti
storici in tempo di pace. È stato sventato un collasso del sistema finanziario
internazionale. La grande recessione non si è mutata in grande depressione.
Non andò così negli anni Trenta. Quella crisi, l’unica paragonabile
all’attuale, fu più profonda e duratura. In Germania e negli Stati Uniti la
produzione industriale crollò di oltre il 40 per cento; la caduta della Credit-
Anstalt in Austria produsse un’ondata di fallimenti bancari sulle due sponde
dell’Atlantico. Il confronto fra le due crisi rivela il progresso realizzato nella
comprensione del modus operandi della politica economica e i benefici della
cooperazione internazionale, allora colpita a morte dalle montanti tensioni
politiche, dal fallimento del gold exchange standard, dai risorgenti
protezionismi.
La lezione che se ne è tratta, in particolare per la politica monetaria, è
che la reazione deve essere subitanea, di entità adeguata alla dimensione
dello shock, pronta a utilizzare con flessibilità gli strumenti più adatti
all’emergenza.
La ripresa delle nostre economie ha iniziato a manifestarsi già nella
seconda metà del 2009. Lo scorso anno l’aumento del prodotto mondiale ha
raggiunto il 5 per cento; secondo le più recenti valutazioni del Fondo
monetario internazionale esso crescerà di oltre il 4 per cento quest’anno e nel
prossimo, del 6,5 nei soli paesi emergenti. È stata superata la fase più acuta di
disordine finanziario.
In tutto il mondo si delinea ora chiaramente la necessità di far cessare il
sostegno straordinario fornito nell’ultimo triennio alle economie dai bilanci
pubblici e dalle politiche monetarie.
L’incidenza sul prodotto dei debiti pubblici nei paesi avanzati è
aumentata di quasi un quarto; i programmi di medio termine di molti governi
sono già orientati, con varia intensità, alla riduzione degli squilibri.
Le politiche monetarie devono tenere conto dell’emergere di tensioni
inflazionistiche, sospinte dal rincaro dei prodotti alimentari ed energetici.
Nell’area dell’euro, dove l’inflazione è dall’inizio dell’anno al di sopra del 2
per cento, occorre prevenire il deterioramento delle aspettative sulla dinamica
dei prezzi interni. Stiamo valutando tempi e modi del rientro dall’impostazione
eccezionalmente espansiva che ha caratterizzato la politica monetaria nell’area
dopo la crisi; essa rimane, anche dopo il rialzo dei tassi d’interesse di
riferimento deciso la scorsa settimana, molto accomodante.
Tuttavia, la ripresa non ha dovunque cancellato gli effetti della crisi né
ha eliminato le fragilità che l’hanno determinata.
Se negli Stati Uniti il prodotto ha recuperato il livello precedente la
crisi, nell’area dell’euro esso è ancora inferiore del 3 per cento, in Italia del 5
per cento. Gli squilibri di parte corrente delle bilance dei pagamenti non si
chiudono. Le forti divergenze nella crescita mondiale possono minarne le basi,
accrescendo la volatilità dei tassi di cambio e d’interesse.
Il nostro paese, non corresponsabile della crisi, vi è entrato già debole, ha
pagato un prezzo alto di riduzione del reddito e dell’occupazione, ne esce con i
suoi problemi strutturali ancora da risolvere. Questi ultimi sono da anni al
centro delle analisi della Banca d’Italia, insieme con le possibili politiche per
risolverli. In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Banca ha
promosso una ricerca, e terrà in autunno un convegno internazionale, sugli
aspetti salienti dell’evoluzione dell’economia dell’Italia unita in relazione al
mutare del contesto esterno. Nella retrospettiva secolare balza agli occhi la
forza formidabile che ha trasformato in paese avanzato un’economia che era nel
1861 ai margini dei processi di modernizzazione in atto in Europa. Una forza
sprigionata dalla necessità di adeguarsi ai cambiamenti tecnologici e di mercato
che rivoluzionavano il mondo. Questa capacità di sviluppo, impetuosa alla fine
dell’Ottocento e poi ancora dopo la seconda guerra mondiale, risiedeva in
ultima analisi nelle persone: negli imprenditori e nei lavoratori italiani; va
ritrovata, per sciogliere i nodi che stringono le nostre prospettive di crescita. La
politica economica deve saper creare quell’ambiente istituzionale in cui la
capacità dell’economia di svilupparsi possa dispiegarsi appieno.

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