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La revisione della regolamentazione in seguito alla crisi

Da Banca d'Italia27.03.2011 16:52
 

L’analisi delle cause degli eventi degli ultimi tre anni ha prodotto un’ampia letteratura: oltre a
carenze regolamentari, molteplici altri fattori risultano aver contribuito: l’intreccio tra la
tradizionale attività delle banche, il mercato immobiliare e nuove modalità di erogazione del credito
e di trasformazione delle scadenze da parte degli intermediari del cosiddetto “sistema bancario
ombra”; gravi carenze nei sistemi di valutazione - sia quelli interni delle banche, sia quelli delle
agenzie di rating - della rischiosità di strumenti finanziari complessi; la presenza di sistemi di
incentivo distorti, incentrati sui risultati di breve periodo; l’illusione che mercati liquidi e spessi di
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alcuni strumenti finanziari (carta commerciale, depositi interbancari, pronti contro termine)
potessero sostenere una trasformazione delle scadenze più ampia che in passato. L’ampliarsi degli
squilibri macroeconomici ha contribuito ad accrescere la fragilità del sistema finanziario, che ha
dovuto fronteggiare gli effetti dell’eccesso di consumo degli Stati Uniti e dell’eccesso di risparmio
del resto del mondo.
Il quadro regolamentare ancora vigente non ha impedito un eccessivo ampliamento dei rischi,
poiché i coefficienti prudenziali relativi all’attività di negoziazione, nell’ambito della quale era
inquadrata gran parte della operatività sui nuovi strumenti finanziari, erano particolarmente
contenuti, ora possiamo dire inadeguati. Nessun vincolo era posto all’attività del “sistema bancario
ombra”, costituito da intermediari poco o per nulla vigilati, in grado di espandere il bilancio facendo
un ricorso sistematico al mercato dei capitali, spesso però con il supporto di liquidità da parte di
grandi banche internazionali. Una definizione di capitale lasca e disomogenea tra ordinamenti ha
permesso di includere nella definizione di patrimonio delle banche strumenti scarsamente idonei a
sostenere le perdite. Anche l’attività di supervisione è risultata in diversi paesi poco rigorosa: si è di
fatto ritenuto che l’accresciuta complessità del sistema finanziario potesse essere gestita e
controllata grazie all’autoregolamentazione, confidando nel risk management delle banche,
rafforzato dai progressi nella capacità di elaborazione dei dati e nella teoria della finanza. La crisi
ha messo a nudo le debolezze di questi modelli: da un lato i parametri, stimati in periodi di stabilità
dell‘economia e dei mercati sottovalutavano i rischi; dall’altro non si teneva conto degli effetti di
feedback potenzialmente destabilizzanti. Le misure di rischio così calcolate sottostimavano la
probabilità di deprezzamenti significativi dei portafogli, e i rischi effettivamente sopportati dagli
intermediari; insufficiente risultava di conseguenza la correzione per il rischio dei rendimenti
conseguiti. Per effetto di tale meccanismo gli intermediari hanno finito per distribuire, sotto forma
di dividendi, proventi che in realtà rappresentavano una compensazione per i rischi sostenuti e che
avrebbero perciò dovuto essere capitalizzati. Ne sono derivate diffuse insolvenze quando i rischi si
sono effettivamente manifestati.
La diagnosi delle cause della crisi ha portato a un intenso lavoro di revisione del quadro
regolamentare, coordinato a livello internazionale dal Financial Stability Board su mandato dei
Leaders del G20. Gli interventi si articolano lungo diverse direttrici: la rivisitazione delle norme
prudenziali, il miglioramento della governance degli intermediari, il rafforzamento della trasparenza
e dell’informativa al mercato, il potenziamento dei presidi di cooperazione tra autorità sia in
condizioni normali sia nelle fasi di crisi. Alcune importanti iniziative possono dirsi sostanzialmente
definite, altre sono in corso.
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La revisione della regolamentazione bancaria condotta dal Comitato di Basilea costituisce
l’intervento di maggior portata. La riforma è volta a rafforzare i presidi microprudenziali relativi ai
singoli intermediari, inserendoli in un più generale quadro macroprudenziale, al fine di assicurare la
stabilità del sistema nel suo complesso.
Basilea 3 è una tappa fondamentale, introduce regole più severe e più strettamente connesse con i
rischi effettivamente sostenuti dalle banche; definisce requisiti rigorosi in termini di capitale di
migliore qualità che non viene meno nei momenti di crisi (4,5 per cento del Common Equity Tier 1
– CET 1 in rapporto alle attività a rischio); prevede che le attività immateriali e quelle di non
agevole realizzo vengano dedotte dal capitale, stabilisce criteri stringenti nella determinazione dei
coefficienti di ponderazione delle attività e dei prodotti finanziari complessi e introduce misure
finalizzate a ridurre la prociclicità delle regole prudenziali. Le banche dovranno detenere un
cuscinetto aggiuntivo di capitale (Capital Conservation Buffer) pari al 2,5 per cento del CET1,
finalizzato ad assorbire le perdite nei periodi di crisi, e un ulteriore cuscinetto (pari al massimo al
2,5 per cento del Tier I) da alimentare nelle fasi favorevoli del ciclo, quando il rischio si accumula,
per un possibile utilizzo quando le condizioni si deteriorano e il rischio si manifesta (il
Countercyclical Capital Buffer).
Sono previste anche regole a presidio del rischio di liquidità (il Liquidity Coverage Ratio – LCR –
di breve periodo e il Net Stable Funding Ratio – NSFR – di tipo strutturale), e un vincolo al livello
di leva finanziaria con cui gli intermediari possono operare (il Leverage Ratio), pari al 3 per cento
dell’attivo non ponderato.
La definizione dei nuovi requisiti si è perfezionata dopo un’ampia consultazione con l’industria e
un’approfondita analisi di impatto.
Perché non siano di ostacolo alla ripresa economica, le regole entreranno in vigore dal 2013 con
gradualità (cosiddetto phasing in), fino a quando, a partire dal 1° gennaio 2019, non diverranno
tutte pienamente vigenti. Alcuni strumenti patrimoniali non in linea con i nuovi criteri, inoltre,
continueranno a essere computabili, seppure in quote decrescenti, per dieci anni (cosiddetto
grandfathering).
Basilea 3, tuttavia, non esaurisce il novero delle iniziative necessarie per evitare il ripetersi di crisi
così dirompenti in futuro.
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Il Comitato sta anche rivedendo i core principles, al fine di rendere omogenea l’applicazione delle
regole tra paesi. La crisi ha evidenziato i limiti degli approcci di tipo “light touch”, basati sulla
fiducia nella capacità degli intermediari di governare il rischio, sull’idea che l’innovazione
finanziaria vada sempre incoraggiata e che gli interventi regolamentari debbano essere di portata
limitata. Si sta affermando, sotto la denominazione di “intensive supervision”, un modello di
vigilanza che, con varianti legate alle specificità nazionali, prevede un ampio ricorso all’attività
ispettiva, la possibilità di intervenire anche nelle scelte gestionali delle banche e di effettuare
interventi discrezionali per tener conto delle carenze delle procedure di gestione del rischio, della
continua evoluzione dei modelli di business, dell’emergere di nuovi rischi. Si tratta di aspetti che da
sempre connotano l’attività di vigilanza della Banca d’Italia.
Il Financial Stability Board sta definendo il quadro regolamentare per le istituzioni finanziarie a
rilevanza sistemica (Systematically Important Financial Institutions, SIFIs), che dovrà essere
approvato entro la fine del 2011. Gli interventi allo studio sono volti a: avere certezza che le SIFIs
siano in grado di assorbire perdite relativamente maggiori rispetto agli intermediari non sistemici;
introdurre una vigilanza più estesa e penetrante; prevedere la possibilità, nel caso in cui la crisi sia
inevitabile, di liquidare le SIFIs senza pregiudizio per il funzionamento del sistema finanziario e
senza ricorso al denaro pubblico.
Rimane aperta la discussione sul perimetro di applicazione del nuovo quadro regolamentare, vale a
dire quali operatori non bancari sottoporre a forme di regolamentazione e supervisione
sostanzialmente analoghe a quelle delle banche. Si tratta del dibattuto tema dello “shadow banking
system”, composto da intermediari che svolgono attività creditizia ricorrendo ad ampia
trasformazione delle scadenze, elevato grado di leverage, arbitraggi regolamentari. Le autorità
temono che i rigorosi requisiti di capitale e di liquidità imposti alle banche possano incentivare il
trasferimento del rischio verso questi operatori, fortemente interconnessi con il sistema bancario e
minare la stabilità sistemica. Una Task Force dell’FSB sta discutendo un ampio ventaglio di
opzioni, tra cui una vigilanza diretta, regole più stringenti per le banche che operano con il sistema
ombra, controlli sull’attività anziché sugli intermediari. Queste tematiche riguardano l’Italia
soprattutto di riflesso perché nel nostro Paese, a differenza che in altri, il perimetro della
regolamentazione è molto ampio. Abbiamo adottato da tempo il criterio della “vigilanza
equivalente”: applichiamo, nel rispetto del principio di proporzionalità, lo stesso insieme di regole a
tutti gli intermediari che svolgono le stesse attività, compresi gli hedge fund.
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Sono allo studio altri importanti temi quali la regolamentazione di mercati OTC, la revisione e
l’armonizzazione degli standard contabili, la trasparenza verso i mercati e la clientela.

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