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Le forme della cooperazione internazionale

Da Banca d'Italia18.05.2011 08:42
 

L’accresciuta interdipendenza delle economie e l’assetto tendenzialmente
multipolare degli equilibri mondiali esigono riforme coraggiose nel sistema di
cooperazione economica internazionale, in particolare in campo finanziario.
Non farle porterebbe inevitabilmente al protezionismo, con il sacrificio del
benessere di tutti e della qualità democratica nella nostra vita civile.
Eventi come la catastrofe che ha colpito il Giappone, la cui reale entità
sfugge ancora a una definizione accettabile, o come le crisi sociali e politiche
in molti paesi arabi, confermano come sia oggi illusorio ritenere irrilevanti
shock geograficamente remoti.
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Nella sfera economica, gli interventi di cui si avverte il bisogno in
ambito internazionale possono essere raggruppati in tre aree.
La prima è la global governance. Non basta essere virtuosi in casa
propria per massimizzare la crescita e la stabilità a livello globale. Sono
desiderabili regole e procedure che rendano coerenti le decisioni di politica
economica prese dai singoli Stati o aree monetarie. Gli squilibri nei pagamenti
internazionali fra i grandi paesi debitori, in primis gli Stati Uniti, e i grandi
creditori, come la Cina e i paesi produttori di energia, sono stati fra i principali
fattori che hanno favorito la crisi. La crescita dei consumi delle famiglie
americane, sospinti da condizioni monetarie e finanziarie espansive a livello
mondiale, ha generato un forte aumento del debito estero degli Stati Uniti.
Questo è stato finanziato dal risparmio della Cina grazie agli enormi e
crescenti avanzi nel suo commercio con l’estero e alla debolezza della sua
domanda interna. Il crescente squilibrio non è stato contenuto né da un
apprezzamento della valuta cinese né da un’impostazione più restrittiva della
politica monetaria negli Stati Uniti; si è, anche così, accumulato il combustibile
per lo scoppio della crisi globale.
La riforma della regolamentazione del sistema finanziario mondiale
riguarda la supervisione macroprudenziale, volta a prevenire e a contenere il
rischio sistemico, la regolazione e la supervisione dei mercati e degli
intermediari finanziari.
Dalla metà degli anni Novanta era maturata una convinzione diffusa,
soprattutto nelle maggiori piazze finanziarie, dove più grandi sono gli interessi
degli operatori: che il sistema di regole in vigore fosse di ostacolo
all’innovazione e quindi – si riteneva – allo sviluppo dell’economia reale,
all’emersione dell’iniziativa dei migliori. Quel sistema venne progressivamente
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smantellato, in misura tale da non poter essere giustificata neanche dal più
ingenuo ottimismo sulla razionalità dei mercati.
La crisi, con le sue pesanti ricadute sull’economia reale, ha mostrato
che la deregolamentazione finanziaria non è condizione necessaria e
sufficiente per esaltare l’innovazione, allocare efficientemente le risorse,
sospingere la crescita della produttività.
Molte banche in diversi paesi – non nel nostro, vorrei rilevare – sono
cadute preda, insieme ai loro regolatori e supervisori, della dantesca “veduta
corta”, come l’ha definita Tommaso Padoa-Schioppa: alla ricerca esasperata
del massimo profitto nel breve periodo, esse hanno assunto rischi che non
sapevano né comprendere né tantomeno gestire.
La costruzione di un sistema finanziario internazionale risanato, meno
vulnerabile alle crisi, è necessaria e possibile. L’anno scorso sono stati
compiuti progressi significativi in vari campi. Fra gli altri, si sono definiti i
nuovi requisiti di capitale e di liquidità delle banche (quadro regolamentare
detto di “Basilea III”), si sono corretti molti degli incentivi perversi che
favorivano l’assunzione di rischi eccessivi da parte degli intermediari. Passi
decisivi restano da compiere nel trattamento regolamentare, e nella relativa
vigilanza, delle istituzioni finanziarie di importanza sistemica.
Una terza area d’intervento è la struttura di governo dell’Unione europea.
La crisi ha amplificato debolezze ben note, in larga parte legate alla profonda
asimmetria esistente nella costruzione dell’Unione economica e monetaria tra la
parte “monetaria”, in pratica completata, e quella “economica”, ancora
incompleta:
i) una politica monetaria centralizzata che si confronta con
molteplici politiche economiche;
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ii) un Patto di stabilità e crescita carente sotto il profilo del
controllo dei conti pubblici e inefficace sotto quello della
promozione di politiche per lo sviluppo;
iii) una crescente integrazione finanziaria in assenza di regole e
pratiche di vigilanza comuni.
Le regole europee non hanno saputo impedire politiche di bilancio
imprudenti da parte di alcuni paesi: da questa inadeguatezza discende una
insidia grave per la stabilità della crescita nell’area.
Lo scorso mese il Consiglio europeo ha approvato proposte per
rafforzare il Patto di stabilità e crescita, sotto l’aspetto sia preventivo sia
correttivo, e ha perfezionato un Patto per l’euro, con l’obiettivo di rinsaldare
l’impegno degli Stati ad accrescere la competitività, l’occupazione, la
sostenibilità delle finanze pubbliche e la stabilità finanziaria. Uno degli
elementi cruciali dell’accordo prevede che i paesi dell’area incorporino nelle
legislazioni nazionali le regole fissate nel Patto di stabilità e crescita relative
alla disciplina dei bilanci pubblici. È indispensabile, per la stessa solidarietà
fra i paesi dell’area, che si fissino con criteri rigorosi i confini delle
responsabilità di ciascuno.
Il Patto di stabilità e crescita impone ai paesi di raggiungere nel medio
termine il pareggio di bilancio strutturale, riducendo il disavanzo pubblico al
netto degli effetti del ciclo economico di almeno lo 0,5 per cento l’anno in
rapporto al prodotto interno lordo. È un impegno già sottoscritto dagli Stati
membri. Nell’ambito del rafforzamento del Patto, si propone ora una regola
numerica che impone ai paesi con debiti superiori al 60 per cento del PIL di
ridurre lo scostamento del 5 per cento ogni anno. Esercizi econometrici
condotti con riferimento all’Italia mostrano che la variabile fondamentale per
definire il grado di stringenza di questa regola è l’intensità della crescita
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economica. Se la crescita approssima il 2 per cento annuo, la regola sul debito
risulta soddisfatta se è rispettata quella relativa al pareggio di bilancio.
Le tensioni che nel 2010 hanno interessato i debiti sovrani di alcuni
paesi membri ci hanno mostrato quanto sia rischioso il potenziale contagio fra
Stati in difficoltà e tra questi e i sistemi bancari. La reazione è stata
complessa: la European Financial Stability Facility, creata lo scorso anno di
fronte all’irrompere della crisi per sostenere i debitori sovrani in difficoltà sui
mercati, e lo European Financial Stability Mechanism saranno sostituiti dal
2013 da un organismo permanente, lo European Stability Mechanism. Esso
consentirà, con una modifica al Trattato di Lisbona, l’intervento di sostegno
agli Stati in difficoltà, sciogliendo i dubbi attuali sulla compatibilità degli aiuti
con il divieto di soccorrere le finanze pubbliche nazionali. Procedure e
condizioni sono in corso di definizione.
Sul fronte delle regole finanziarie, dall’inizio dell’anno sono
operativi lo European Systemic Risk Board, a cui è affidata la vigilanza
macroprudenziale sul sistema finanziario, e tre autorità europee di vigilanza
microprudenziale sulle banche, sulle assicurazioni e sui mercati finanziari.

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