I margini a disposizione delle politiche economiche si vanno riducendo.
Nell’ultimo triennio la crisi ha ampliato il disavanzo pubblico nell’insieme dei
paesi avanzati di oltre 6 punti percentuali di PIL e il debito pubblico di quasi 25, fino
a sfiorare il 100 per cento del prodotto. Negli Stati Uniti e in Giappone un piano di
consolidamento delle finanze pubbliche è difficilmente procrastinabile: l’OCSE
valuta che solo per stabilizzare il rapporto debito/PIL di quei paesi entro i prossimi
quindici anni sarebbe necessaria una correzione del saldo primario dell’ordine di 8-9
punti. In Europa già ci si adopera a ridurre gli squilibri nelle finanze pubbliche. Le
tensioni che hanno colpito i titoli sovrani di alcuni paesi dell’area dell’euro hanno
acuito l’attenzione verso i rischi di prolungati squilibri.
Il disavanzo pubblico nell’area dovrebbe segnare nell’anno in corso un netto
miglioramento, dal 6,3 al 4,6 per cento del PIL secondo le stime più recenti della
Commissione europea. Rispetto al prodotto il debito pubblico continuerebbe a salire
anche nel 2011, ma a un ritmo molto più contenuto che nell’ultimo biennio.
In Italia il rapporto fra debito pubblico e PIL, vicino al 120 per cento, dovrebbe
iniziare a flettere nell’anno venturo, quando il Governo intende riportare il disavanzo
annuo sotto il 3 per cento del prodotto.
Nel decennio precedente la crisi, la spesa corrente al netto dei pagamenti di
interessi sul debito pubblico aumentava in media del 4 per cento l’anno in termini
nominali, ben più rapidamente del PIL. La Decisione di Finanza Pubblica dello
scorso settembre prevede per il biennio 2011-12 un contenimento della sua dinamica
all’1 per cento l’anno. Il contenimento dovrà proseguire anche oltre il 2012; la
composizione della spesa primaria deve essere orientata a favore della crescita. Non
vi sono altre strade per ridurre il disavanzo visto che la pressione fiscale già supera di
3 punti quella media dell’area dell’euro. Maggiori entrate che si rendano disponibili
grazie a recuperi di evasione dovranno essere usate per ridurre la pressione sui
contribuenti che già pagano il dovuto. Potranno inoltre doversi compensare a livello
centrale eventuali aumenti del prelievo decentrato conseguenti al federalismo fiscale.
Gli aiuti finanziari concessi lo scorso anno alla Grecia e all’Irlanda dall’Unione
europea e dal Fondo monetario internazionale (FMI) sono stati condizionati
all’adozione di severi piani di consolidamento fiscale e di incisive riforme
economiche e istituzionali. Un contributo importante alla prevenzione di nuove crisi
di debitori sovrani dovrà venire dalla riforma, attualmente in discussione, della
governance europea, volta a potenziare la sorveglianza multilaterale sulle politiche
economiche nazionali. È importante che, in caso di deviazioni dai parametri
concordati, siano applicate regole semi-automatiche, di modo che il rischio di una
loro elusione sia drasticamente ridotto. I fondi di salvataggio devono servire solo per
le emergenze ed essere condizionati, come suggerisce l’esperienza del FMI, a rigorosi
programmi di risanamento.
Le politiche monetarie fronteggiano scenari diversi nelle diverse aree del
mondo.
Nei paesi emergenti le buone prospettive di crescita, i rendimenti elevati,
attraggono ingenti capitali privati dall’estero; nel 2010 ve ne sono stati per circa 900
miliardi di dollari, equivalenti a quasi il 5 per cento del prodotto di quei paesi. Gli
afflussi, in presenza di una già forte espansione della domanda e di sistemi finanziari
ancora non ben sviluppati, possono ingenerare inflazione e bolle finanziarie. La
vivace dinamica dei prezzi che già si osserva in quelle economie, intorno al 6 per
cento in media e ben oltre il 4 in Cina, è in parte riconducibile al rincaro dei prodotti
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alimentari ed energetici, ma gioca anche l’accelerazione della domanda interna, essa
stessa alla base dei rialzi nelle quotazioni internazionali delle materie di base. Questi
aumenti, che penalizzano in particolare i più poveri, potrebbero essere contrastati da
apprezzamenti del tasso di cambio, peraltro necessari a ridurre gli squilibri globali
nelle bilance dei pagamenti. In loro assenza, le politiche monetarie in quei paesi si
fanno più restrittive.
Nelle economie avanzate l’inflazione è per ora frenata dagli ampi margini di
capacità produttiva inutilizzata. Negli Stati Uniti la Riserva federale ha recentemente
confermato il programma di ampliamento della liquidità attraverso l’acquisto di titoli
del Tesoro annunciato lo scorso novembre.
Nell’area dell’euro l’inflazione al consumo, sospinta dai forti rincari delle
materie di base, è salita in gennaio ben al di sopra della definizione di stabilità dei
prezzi fissata dal Consiglio direttivo della BCE. L’inflazione di fondo rimane
contenuta, in presenza di una dinamica dei costi interni moderata e di una ripresa
ciclica che prosegue senza accelerazioni di rilievo. Le aspettative di inflazione nel
medio periodo rimangono ancorate.
L’emergere di tensioni inflazionistiche richiede però di valutare attentamente i
tempi e le modalità di una normalizzazione delle condizioni monetarie, dei tassi
d’interesse. La politica monetaria deve prevenire un deterioramento delle aspettative
per evitare che l’impulso proveniente dai prezzi internazionali si trasmetta a quelli
interni e ai salari oltre il breve periodo.
D’altronde, tassi reali a breve termine ampiamente negativi, come quelli
osservati negli ultimi due anni, non sono stati sufficienti a rialzare le prospettive di
crescita delle economie meno dinamiche. L’esaurimento della fase espansiva delle
politiche economiche non pregiudicherà necessariamente la crescita: soprattutto nei
paesi più deboli, il costo del credito potrà beneficiare della riduzione degli spread
sui titoli di debito sovrano determinata dalla correzione delle politiche di bilancio e
del contenimento dei premi al rischio consentito dal controllo delle aspettative di
inflazione.
![Reazione del mercato alla vittoria elettorale di Trump nel 2016](https://i-invdn-com.investing.com/news/LYNXMPEA7H0NX_S.jpg)
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