Nell’ultimo biennio la recessione ha determinato un forte deterioramento delle finanze pubbliche
dell’area dell’euro. Tra il 2007 e il 2009 l’indebitamento netto dei paesi dell’area è salito dallo 0,6
al 6,3 per cento del PIL; il debito pubblico, aumentato nello stesso periodo dal 66,2 al 79,2 per
cento del PIL, raggiungerebbe l’88,0 per cento nel 2012 (Tavv. 1 e 2; Figg. 1 e 2). L’impatto della
crisi è stato eterogeneo. In Irlanda la crisi finanziaria ha assunto una dimensione sistemica. Forti
difficoltà si manifestano in quei paesi, come la Spagna, in cui con il deterioramento delle
condizioni finanziarie si è bruscamente arrestato lo sviluppo dei settori che più si erano espansi
nella fase precedente. Disavanzi particolarmente elevati nella parte corrente della bilancia dei
pagamenti si sono registrati in Grecia e in Portogallo (pari nel 2009 rispettivamente a 10,0 e 7,5
punti percentuali del PIL). In Grecia sono anche emerse carenze nella qualità delle informazioni
statistiche.
In alcuni paesi, tra i quali l’Italia, gli squilibri di finanza pubblica precedenti la crisi hanno
condizionato le politiche di sostegno all’economia; i rischi connessi con elevati debiti pubblici
sono diventati più evidenti in un contesto segnato da forti tensioni sui mercati finanziari. I divari
tra i tassi di interesse sui titoli pubblici dell’area hanno assunto valori molto elevati (Fig. 3).
Vi è un ampio consenso sulla necessità di accrescere il coordinamento delle politiche
economiche dei paesi dell’Unione europea, di rendere più efficaci le regole di bilancio
europee, di rafforzare le procedure di bilancio nazionali.
L’attuale assetto istituzionale ha evidenziato tre principali problemi.
a) Le regole di bilancio europee non hanno evitato che alcuni paesi adottassero
politiche poco prudenti senza sfruttare adeguatamente le fasi favorevoli del ciclo
economico per consolidare i conti pubblici. Molti paesi hanno affrontato la crisi con
saldi di bilancio lontani dai rispettivi obiettivi di medio termine previsti dal Patto di stabilità
e crescita e concordati in sede europea (per l’Italia l’obiettivo è il pareggio di bilancio,
escludendo gli effetti del ciclo economico e delle misure di natura temporanea). In alcuni
paesi, in cui il debito pubblico superava largamente la soglia di riferimento del 60 per cento
del PIL, i progressi nella riduzione dell’incidenza del debito sono stati relativamente
modesti. Questa situazione ha limitato i margini per gli interventi anticiclici e ha amplificato
gli effetti della crisi sull’incidenza del debito pubblico sul prodotto.
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b) Il sistema di sorveglianza multilaterale europeo non disponeva di strumenti
incisivi per la prevenzione e la correzione di squilibri di tipo macroeconomico, che
possono derivare dai conti con l’estero, dai differenziali di produttività e da eccessivi livelli
di debito del settore privato. In alcuni paesi tali squilibri hanno aggravato gli effetti della
recessione internazionale sull’attività economica, hanno accresciuto le perdite di gettito per
il bilancio pubblico e hanno richiesto interventi a sostegno degli intermediari finanziari. Le
tensioni sui titoli pubblici hanno interessato anche paesi che prima della recessione non
presentavano squilibri di finanza pubblica significativi e che, a seguito di interventi a
sostegno dell’economia e del settore finanziario, adesso hanno elevati livelli di debito e
disavanzo pubblici.
c) Non erano previsti meccanismi di intervento per le situazioni di grave crisi di
uno Stato membro. Questa carenza, emersa chiaramente in relazione alla crisi greca, ha
determinato incertezza e ha accresciuto i costi e i tempi degli interventi.
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