Oggi tutte le istituzioni che si occupano di economia, a livello
nazionale e internazionale, dedicano una parte importante delle proprie
risorse alla ricerca. L’area della Banca d’Italia impegnata in studi
sull’economia italiana e internazionale conta poco meno di 200
ricercatori, raggruppati in 4 servizi. Quando il venticinquenne Paolo Baffi
fu assunto in Banca, nel 1936, i ricercatori dell’Ufficio Studi erano 6, e la
figura stessa del funzionario-economista, dello specialista in seno a una
amministrazione, era una novità. Quei pochi dovevano soddisfare una
fame formidabile di conoscenze economiche da parte dei policy makers:
temi quali la regolazione finanziaria, il controllo del ciclo, l’ordine
economico internazionale, l’assetto strutturale dell’economia richiedevano
l’apporto professionale dell’economista, la capacità di guardare ai
fenomeni economici come a un insieme strutturato e coerente.
Giorgio Mortara era stato il trait d’union fra Baffi ed Azzolini:
l’affetto di Baffi per il suo maestro e amico della Bocconi è testimoniato
dallo scritto Giorgio Mortara e la Banca d’Italia, che possiamo rileggere
oggi in una nuova veste editoriale e dal fitto scambio epistolare dopo
l’espatrio di Mortara in Brasile a seguito delle leggi razziali del 1938.
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