di Luca Trogni
MILANO (Reuters) - Le prime stime in direzione contraria sono quelle, diffuse negli scorsi giorni, del centro studi Ref: nel 2016 il debito pubblico italiano non scenderà, come previsto dal governo, salendo invece al 134,4% del Pil.
Il quadro di finanza pubblica del governo è ben più roseo: dopo otto anni di rialzi nel 2016 il rapporto, nonostante la manovra espansiva, calerà al 131,4% dal precedente 132,8%.
L'ultimo tassello che mette in dubbio la realizzabilità di questo percorso arriva dallo stesso ministro Padoan che in una recente intervista ha definito la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato nel 2016 "un'ambizione" che si dovrà testare nei prossimi mesi. Il dubbio maggiore nasce dalla scelta del perimetro da privatizzare con il ministro Delrio ha già espresso la sua contrarietà a includere la rete.
Ma i dubbi su Fs mettono una pesante incognita sul raggiungimento dell'obiettivo di ricavi da privatizzazione, destinati alla riduzione del debito, per lo 0,5% del Pil. Si tratta di oltre 8 miliardi che verrebbero in gran parte meno senza la messa sul mercato di Ferrovie , visto che il collocamento di una quota di Enav, l'altra società presente nel programma 2016, difficilmente raggiungerà il miliardo.
Il successo dell'Ipo di Poste sembra il sigillo a una storia di privatizzazioni partita da lontano ma senza grande futuro per la difficoltà di trovare asset pubblici di peso da mettere sul mercato. In questo modo viene meno il canale di abbassamento del debito attraverso operazioni straordinarie. Per contenerlo si deve quindi puntare su crescita dell'economia e finanza pubblica ordinaria in ordine.
Nella legge di stabilità di Matteo Renzi il circolo virtuoso funziona, nonostante il rialzo del deficit/pil 2016 al 2,2% dal precedente all'1,8%, grazie alla previsione di una crescita nominale dell'economia al 2,6% basata su un Pil dell'1,6% e su un balzo del deflatore del Pil all'1%.
DA DRAGHI UN AIUTO A TEMPO
In tema di inflazione, variabile in gran parte esogena, il quantitative easing della Bce non ha però ancora sortito gli effetti sperati. A fine settembre i prezzi al consumo italiani si attestavano ancora a un modesto +0,2% annuo, sostanzialmente in linea con il livello pre-QE di febbraio. Per il prossimo anno la ripresa attesa dagli organismi internazionali è di qualche decimo percentuale ma non in grado di raggiungere il punto percentuale (+0,7% la stima Fmi). Analogamente il consensus per il Pil 2016 è di tre/quattro decimi di punto sotto la valutazione del governo.
Un debito che non cala significa più titoli di Stato sul mercato con relativi rischi. L'Italia può contare sulla volontà di Francoforte, rafforzata dalle parole di ieri di Draghi, di continuare con gli acquisti di Btp che, almeno per il 2016, la mettono al riparo da scosse sui mercati con ricadute negative. Ma non si tratta di una tranquillità finanziaria a tempo indeterminato.
Nelle possibili fasi di congiuntura negativa il rapporto debito/pil non può che salire e l'Italia ha già rimpianto in passato, ad esempio negli anni del post-Lehman Brothers, di non aver affrontato in anni favorevoli dal lato della congiuntura economica, il tema della discesa del debito.
Per il 2016, di fronte al consolidamento della crescita economica, si è scelto di ampliare il deficit della legge di stabilità con decisioni come quelle, ad esempio, di dimezzare l'importo della revisione della spesa pubblica e attribuire oltre tre miliardi di risparmio a misure di efficientamento tutte da verificare. Scelte sulla cui bontà potrebbero sorgere tardivi dubbi.