In un contesto nel quale le banche centrali tendono ad essere meno espansive, il debito periferico resta sotto pressione e quello emergente in valuta locale offre opportunità.
“Con ogni probabilità l’aspetto di maggiore interesse dell’ultima riunione della Federal Reserve è consistito nell’eliminazione degli orientamenti avanzati nella dichiarazione, unitamente all’annuncio che la banca centrale USA terrà una conferenza stampa dopo ogni riunione, a partire dal prossimo gennaio” tiene a sottolineare, nell’articolo Federal Reserve alla ricerca del tasso di interesse neutrale, Tiffany Wilding, US Economist di PIMCO. Questo perché, a parere dell’esperta, emerge il dilemma a medio termine della Fed su come impostare una politica che sostenga l’espansione bilanciando il rischio di ipervigilanza in un contesto di potenziale pericolo di surriscaldamento dell’economia. “Lo stimolo fiscale tardivo (in quanto propiziato dall’amministrazione Trump nella fase finale del lungo ciclo economico, ndr), una curva piatta di Phillips e l’alto grado di incertezza attorno al tasso di interesse neutrale, il tasso a partire dal quale la Fed non è più accomodante e inizia a limitare la crescita dell’economia, complicano infatti il compito di gestione del rischio a medio termine della Fed” precisa l’esperta.
DEBITO PERIFERICO EURO SOTTO PRESSIONE
Mentre la Fed prosegue con celerità il suo percorso di aumento dei tassi, la BCE è in una posizione molto più complessa di quella che la banca centrale USA affrontò nel 2014. “La banca centrale europea non è in una posizione facile. Il suo QE si concluderà in un contesto più difficile rispetto a quello in cui la Fed terminò il suo programma di allentamento quantitativo nel 2014: la crescita della zona Euro sta decelerando e stanno aumentando i timori politici” precisano infatti nell’articolo BCE, la normalizzazione della politica monetaria un rischio per il debito periferico i professionisti di AMUNDI. Secondo i quali, la normalizzazione della politica monetaria (ovvero il passaggio dalla politica ultra espansiva degli ultimi anni a quella di un graduale ritorno alla normalità con tassi in territorio positivo) potrebbe rappresentare nella zona euro un rischio per il debito periferico.
DOLLARO IN RIPIEGAMENTO DAL 2019
Nel frattempo occorre tenere sotto osservazione l’evoluzione dei prezzi al consumo. Keith Wade, Chief Economist e Strategist di Schroders (LON:SDR), nell’articolo Il ciclo economico attuale pronto a diventare il più lungo dal 1991-2001 ha rivisto al rialzo le previsioni sull’inflazione per il 2018: alla luce dell’incremento dei prezzi del petrolio, le stime dei prezzi al consumo sono passate dal 2,4% al 2,7%. “Negli Stati Uniti, che stanno raggiungendo la piena capacità, ci aspettiamo ancora che l’inflazione core aumenterà nei prossimi due anni” tiene inoltre a specificare Keith Wade. Interessante anche la view esposta dallo strategist sul dollaro americano. “Il biglietto verde dovrebbe rafforzarsi ulteriormente nel breve periodo, prima di indebolirsi nel 2019 quando le Banche centrali al di fuori degli Stati Uniti inizieranno a restringere la propria politica monetaria” precisa Keith Wade.
MEGLIO IL DEBITO EMERGENTE IN VALUTA LOCALE
L’andamento del biglietto verde resta fondamentale per i mercati emergenti. Molti dei quali sono indebitati in modo ingente in dollari e, pertanto, molto dipendenti dal valore della valuta di Washington. A questo proposito Rob Neithart, gestore del fondo Capital Group Global High Income Opportunities (LUX), dichiara una lieve preferenza per il debito emergente rispetto al segmento delle obbligazioni high yield. Una preferenza che, sebbene non ad alta convinzione come in passato, si base sulle valutazioni favorevoli al debito emergente, a differenza degli high yield i cui spread (extra rendimento rispetto ai titoli di stato) sono scesi su livelli minimi al punto di rendere poco appetibili questa tipologia di titoli. Entrando più nello specifico, nell’articolo Obbligazioni, il debito emergente favorito rispetto ai bond high yield, Rob Neithart predilige il debito emergente in valuta locale per una combinazione favorevole di valutazioni e di fattori tecnici. Al contrario, nel segmento del debito in dollari USD, l’esperto è più prudente: con queste valutazioni (cioè in base agli attuali prezzi e spread), è persuaso che i margini di errore si siano notevolmente ridotti. Rob Neithart, in ogni caso, predilige l’Asia e, ancora più in particolare l’India e la Malaysia, ma non teme i rendimenti dei Treasury USA decennali che si sono spinti fino alla soglia del 3%.
BEAR MARKET OBBLIGAZIONARIO PROLUNGATO
Resta il fatto che l’aumento dei tassi decennali USA mette sotto pressione il mercato obbligazionario, che rischia di entrare in una fase ribassista piuttosto prolungata. Le strategie alternative sembrano pronte a prendere il posto dei bond. A riprova delle difficoltà dei mercati obbligazionari, è sufficiente ricordare la correzione di circa il 3% registrata sia dai titoli investment grade che dall’obbligazionario emergente. Una correzione seguita a un aumento dei tassi decennali USA inferiore ai 50 punti base, che in qualche modo ha influito anche sui titoli governativi core.
“Guardando avanti – ha precisato nell’articolo 2018: il ritorno delle strategie alternative Sara Cazzola, Head of Research di Hedge Invest SGR – riteniamo di essere all’inizio di un bear market per il reddito fisso, di cui potranno trarre vantaggio le strategie macro e i fondi con approccio long/short credit con posizionamento ribassista e una attenta gestione del rischio liquidità”. Un bear market (fase ribassista dei mercati) che, secondo gli esperti di Hedge Invest SGR, potrebbe durare 3 o 4 anni nel caso delle obbligazioni.
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge