By Geoffrey Smith
Investing.com - Settimane intense all’orizzonte per i mercati finanziari globali.
Gli investitori si stanno rassegnandosi al fatto che i tassi di interesse negli Stati Uniti e nell’Eurozona stanno salendo più di quanto sembrasse probabile all’inizio dell’anno. Le speranze di una rapida fine dell’inasprimento monetario e di una “svolta” verso i tagli dei tassi di interesse entro la fine dell’anno appaiono ormai vane.
I futures sui tassi di interesse a breve termine riflettono ora le aspettative di un picco del tasso sui Fed Funds del 5,5% e di un tasso di rifinanziamento della BCE del 4%. Si tratta rispettivamente dello 0,75% e dell’1% in più rispetto al momento attuale. Quanto ai tagli dei tassi, non si vedranno prima del 2024.
Con l’ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie da parte delle due principali banche centrali del mondo, è probabile che si intensifichino nel breve periodo i venti contrari per i mercati globali, che dal 2009 prosperano grazie a un denaro storicamente a buon mercato.
Eppure, ci sono ragioni per pensare che né la riunione della BCE a Francoforte giovedì prossimo, né quella della Federal Reserve della settimana dopo, saranno così “aggressive” come si temeva.
In primo luogo, il presidente della Fed Jerome Powell si è lasciato un ampio margine di manovra martedì scorso, quando ha dichiarato alla commissione bancaria del Senato che la Fed potrebbe tornare ad aumenti maggiore i dei tassi “se la totalità dei dati dovesse indicare che un inasprimento più rapido è giustificato”.
Un aumento di 25 punti base resta ancora il risultato più probabile quando la Fed si riunirà, in quanto un cambio di rotta comporterebbe un enorme perdita di credibilità solo un paio di mesi dopo aver affermato che si era instaurata una tendenza disinflazionistica.
In secondo luogo, alla BCE non piacerà essere la prima. Aumenterà quasi certamente il suo tasso di riferimento di 50 punti base, ma la variabile chiave, le indicazioni di Christine Lagarde per la successiva riunione di maggio, sarà mitigata dalla consapevolezza che raramente paga apparire più aggressivi della Fed.
A 1,06 dollari, l’euro è ancora conveniente rispetto al dollaro e le imprese dell’area dell’euro godono di un chiaro vantaggio di finanziamento rispetto alle loro controparti statunitensi (un vantaggio assolutamente necessario, visto che i costi energetici e non salariali sono molto più alti in Europa che negli Stati Uniti).
Pertanto, è improbabile che la Lagarde si impegni immediatamente per un altro aumento di 50 punti base a maggio.
Dopotutto, perché dovrebbe? L’inflazione sta scendendo (anche se il tasso core è accelerato a febbraio) e i principali indicatori anticipatori suggeriscono che scenderà ulteriormente e più rapidamente a partire dal secondo trimestre, poiché i prezzi di quest’anno iniziano a essere misurati rispetto all’impennata di un anno fa. L’inflazione dei prezzi alla produzione, sta rallentando bruscamente, scendendo a “solo” il 15% a febbraio da un picco di oltre il 43% a settembre.
Come sostiene Holger Schmieding, capo economista della Berenberg Bank, i prezzi del gas naturale sono “ancora il driver più importante dell’inflazione dell’eurozona”, e giovedì hanno toccato il minimo dall’estate del 2021, dopo che un grande terminale di esportazione di GNL nel Golfo del Messico ha ottenuto il via libera normativo per riprendere le operazioni.
I Dutch TTF Futures, i prezzi di riferimento per l’Europa nord-occidentale, che sembravano destinati a stabilizzarsi in un intervallo di quattro o cinque volte la loro media storica dopo la perdita del gas russo a basso costo, sono ora scambiati a solo il doppio. Sebbene questo sia ancora doloroso per l’industria ad alta intensità energetica in particolare (per i dettagli si veda la chiusura di capacità produttiva del mese scorso su BASF’s), è meno probabile che sia la differenza tra la vita e la morte per altre aziende della zona euro.
Ma se l’inflazione è indubbiamente in discesa, c’è ancora una reale incertezza su quanto e quanto velocemente scenderà. In particolare, i prezzi dei prodotti alimentari continuano a preoccupare, visti gli effetti ritardati sui raccolti dovuti all’interruzione del commercio globale di fertilizzanti.
Konstantinos Venetis di TS Lombard, in previsione della riunione di Banca d’Inghilterra che si terrà un giorno dopo quella della Fed, fa notare che l’inflazione non scende mai in linea retta, cosa che probabilmente frustrerà sia i falchi che le colombe del Comitato di politica monetaria. Le loro controparti a Washington e Francoforte probabilmente la penseranno
I primi segnali di stress nel sistema bancario statunitense saranno all’attenzione di tutte e tre le banche centrali nei prossimi quindici giorni. Il crollo di Silvergate (NYSE:SI), un istituto che si è concentrato sull’attività bancaria per il settore delle criptovalute, può essere definito come particolare per quella nicchia isolata dei mercati finanziari. Ma i problemi di Silicon Valley Bank (NASDAQ:SIVB), con miliardi di perdite non realizzate nei prestiti alle startup, sono un’altra cosa. Dopo tutto, gran parte del sistema finanziario statunitense, all’ingrosso e al dettaglio, ha scommesso pesantemente sulle startup, in una forma o nell’altra, nell’ultimo decennio.
Prima dell’ultima crisi finanziaria del 2008, le banche centrali hanno continuato ad alzare i tassi ben dopo che i problemi sistemici avevano iniziato a diventare evidenti, rendendo il successivo crollo peggiore di quanto avrebbe potuto essere altrimenti. Data la tendenza delle autorità a combattere l’ultima guerra piuttosto che quella che hanno di fronte, il rischio è che questa generazione di banchieri centrali possa orientarsi in senso opposto.
Ci stiamo avvicinando al punto in cui i costi macro del “troppo forte per troppo tempo” sui rialzi dei tassi iniziano a superare i benefici”, avverte Venetis. “Con l’ingresso del ciclo di inasprimento in una fase matura, ciò giustifica un approccio più sfumato alla politica”.