di Francesco Canepa
(Reuters) - Sono di nuovo tempi duri per la Banca centrale europea, il problema in questo caso però non viene dalla Grecia, dall'Italia o da uno dei soliti sospetti del Mediterraneo meridionale.
La Germania, prima economia della zona euro, soffre di una combinazione negativa di calo dell'avanzo commerciale con la Cina e debolezza dei settori manifattura e costruzioni - tradizionalmente principale traino del paese. Qualche dubbio esistenziale riguarda inoltre un modello economico basato sostanzialmente sulle importazioni di greggio russo a basso costo.
Le difficoltà dell'economia tedesca hanno naturalmente una ricaduta sulla zona euro nel suo insieme, rendendo lo scenario di recessione più probabile dell'ipotizzato 'soft landing' - l'obiettivo di moderazione di crescita e inflazione su cui la Bce contava e che Federal Reserve sarà invece probabilmente in grado di raggiungere.
Questo muta la prospettive per i tassi della zona euro: la possibilità di una pausa nel ciclo restrittivo più lungo della storia non è più un tabù ma viene apertamente evocata.
Il mercato monetario arriva anche a scommettere che un taglio dei tassi potrebbe avvenire prima delle attese, come alla fine del ciclo restrittivo del 2011 a causa della crisi del debito che ha travolto nell'ordine Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro, innescando la recessione..
"Ci sono alcuni aspetti simili alla crisi del 2011, quando lo shock dal lato dell'offerta ha determinato un rapido rientro dell'inflazione" spiega Richard Portes, professore di economia alla London Business School.
MALATO D'EUROPA, DI NUOVO
Ma l'epicentro del problema adesso non è un paese del cosiddetto Club Med e rende per alcuni commentatori nuovamente attuale l'etichetta di 'malato d'Europa' da assegnare alla Germania come nei primi anni Duemila.
L'espressione è stata coniata da Nicola I, zar di Russia, per definire l'impero ottomano nel XIX secolo.
Alcuni degli odierni problemi tedeschi hanno del resto origine proprio da Mosca, su cui Berlino contava per un terzo delle proprie necessità energetiche prima della crisi ucraina e della fiammata del greggio.
Altri punti deboli hanno radici ben più profonde e derivano da autonome scelte di politica economica come l'eccessiva dipendenza dalle esportazioni, gli scarsi investimenti e la carenza di manodopera.
"Se il governo non prende provvedimenti incisivi la Germania resterà agli ultimi posti nella classifica della crescita in Europa" commenta l'analista Commerzbank (ETR:CBKG) Ralph Solveen.
Per lo meno una parte delle difficoltà dell'economia tedesca deriva tuttavia dalla politica monetaria restrittiva.
Utilizzando la leva dei tassi, la Banca centrale europea ha consapevolmente appesantito la crescita economica nel tentativo di far rientrare l'inflazione, arrivata alla doppia cifra rispetto all'obiettivo di 2% fissato da Francoforte.
L'aumento dei costi di finanziamento penalizza in particolare il settore manifatturiero, che dipende dagli investimenti, e in nessun paese europeo il comparto industriale conta tanto quanto in Germania.
"Tagliare i tassi perché l'economia tedesca è in difficoltà non sarebbe saggio, ma alzarli aggiungerebbe le pressioni macro a quelle micro che già affaticano l'economia" aggiunge Portes.
Questo costringe la Bce a considerare la prospettiva di mettere fine al ciclo delle strette monetarie prima che si evidenzino gli auspicati segnali di rientro dell'inflazione 'core'.
Diventa così più complicato per Francoforte mantenere un esplicito legame tra inflazione 'core' e necessario rialzo dei tassi, come segnala il recente mutamento della 'retorica' che parla di tassi mantenuti elevati nel tempo, non di nuovi rialzi.
"Hanno sbagliato a porre troppo accento sull'inflazione 'core'... il rischio è che si siano già sbilanciati" commenta Carsten Brzeski, responsabile per l'area macro globale a Ing Research.
Secondo Ricardo Reis, professore della London School of Economics, Francoforte deve cominciare a guardare alle attese di inflazione "in un arco di 12/18 mesi da adesso", non al valore puntuale del costo della vita.
TASSI PIU' ELEVATI PER PERIODO PIU' PROLUNGATO
Il cambio dei toni Bce ha colto il mercato di sorpresa ed è avvenuto con l'ultimo consiglio di politica monetaria a fine luglio.
Christine Lagarde, che fino a giugno dichiarava che Francoforte "nemmeno si sognava" di interrompere il ciclo dei rialzi sui tassi, è arrivata a dichiarare che "al momento" non resta strada da fare nel percorso delle strette.
Pochi giorni dopo venivano pubblicati i dati Eurostat sull'inflazione di luglio, che mostravano il tasso 'core' stabile a 5,5% su base tendenziale, e la Bce sceglieva di mettere in evidenza il rientro di altre voci dell'indice generale.
Il consigliere esecutivo Fabio Panetta poneva poi l'accento sull'ipotesi di mantenere i tassi elevati più a lungo in luogo di varare nuovi rialzi.
Si profila quindi una pausa per il consiglio di settembre, probabilmente accompagnata da rassicurazioni che la Bce è pronta ad alzare i tassi se necessario e che la politica monetaria resterà per qualche tempo sufficientemente restrittiva.
Il mercato monetario scommette intanto su tagli significativi del costo del denaro nella seconda metà dell'anno prossimo.
"Prevediamo che non ci sia alcun rialzo da qui a fine anno e che da marzo prenderà il via un ciclo di tagli dei tassi" si legge nella nota a i clienti degli analisti Abn-Amro.
(Versione italiana Alessia Pé, editing Sabina Suzzi)