di Luca Trogni
MILANO (Reuters) - Un debito pubblico che deve scendere a ogni costo in rapporto al Pil. E' quello italiano che, invece, sale ininterrottamente dal 2008. L'anno prima, la cura senza sconti di Tommaso Padoa Schioppa lo aveva riportato sotto la simbolica quota 100. Il debito pubblico italiano era tornato a valere meno dell'economia nazionale. Qualche mese dopo quel risultato, la crisi mondiale innescata dal fallimento di Lehman Brothers spinse nel giro di due anni il debito oltre il 110% del Pil. Ed oggi il debito 2015, primo anno di attesa ripresa economica dopo tre, è previsto altri 20 punti percentuali di Pil più in alto oltre il 130%.
Da qui il governo Renzi fa partire oggi un percorso virtuoso teso a riportare il debito al 120% del Pil nel giro di quattro anni.
Se il quadro del Documento di economia e finanza per l'anno in corso sembra prudente per alcuni indicatori - in primo luogo il prodotto nazionale che non andrebbe oltre una crescita dello 0,7% - il cammino tracciato per i prossimi anni, in particolare per il debito, sembra invece ispirato a un 'wishful thinking' con un occhio alle richieste di Bruxelles.
Vediamo perchè.
La discesa del debito italiano è frenato dal sostanziale esaurimento del canale 'privatizzazioni'.
Negli ultimi anni senza il provvidenziale ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, per la sua natura ibrida pubblico-privata non in grado di dire molti 'no' all'azionista Tesoro, questa voce di bilancio sarebbe stata molto vicina allo zero. Fermandosi al passato più recente, ha acquisito Sace, Fintecna e Simest piuttosto che immobili pubblici in prossimità di fine anno per non lasciare sguarnita la casella 'privatizzazioni'.
Quest'anno, oltre ai 2,2 miliardi incassati per la cessione di una nuova tranche di azioni Enel (MILAN:ENEI), resta all'orizzonte solo la cessione di una quota fino al 40% di Poste Italiane. Un'Ipo che l'AD Francesco Caio farebbe volentieri nel 2016 per valorizzare meglio l'asset, ma che l'azionista Tesoro chiede avvenga quest'anno.
In totale si raggiungeranno al massimo circa 8 miliardi, pari allo 0,5% del Pil. Per il futuro, l'unico asset di peso, ma anche di non facile cessione, è costituito da Ferrovie dello Stato.
SCENARIO OTTIMISTICO
Il calo del rapporto debito/pil deve passare in grandissima parte da altre vie.
Servirà la ripresa dell'inflazione, con alle spalle il motore della iniezione di moneta della Bce, e il suo impatto positivo sulla crescita nominale dell'economia, altrimenti troppo modesta nonostante l'uscita dalla recessione.
Solo in questo modo è possibile dare una scossa al denominatore del rapporto debito/pil, vera palla al piede degli ultimi anni. L'Italia ha infatti in assoluto un debito, anche se di poco, inferiore a quello tedesco, ma la prolungata recessione nazionale ha acuito il divario tra le due economie: la Germania beneficia ormai di un Pil, che si avvicina ai 3.000 miliardi, rispetto ai 1.600 attorno a cui ristagna da anni quello italiano.
Le stime del Def vanno ampiamente in questa direzione: per il 2017, primo anno di sensibile calo del rapporto debito/pil, la crescita del Pil nominale è vista al 3,3% a fronte di un deflatore dell'1,8%, quindi con un'inflazione vicina al 2%. Nello stesso tempo il rendimento del Btp a 10 anni si collocherebbe poco sopra il 2% e il costo dell'intero debito appena sopra il 3.
Si verificherebbe così la regola aurea economica per il calo del rapporto: il tasso pagato sul debito deve essere inferiore al tasso di crescita dell'economia.
Ci sono forti dubbi sulla realizzabilità del quadro tratteggiato dal Def: è credibile che il rendimento del Btp a 10 anni, oggi pari all'1,4% con i prezzi al consumo fermi, aumenti meno di un punto percentuale con l'inflazione che sale di quasi due punti? La risposta è positiva solo se si pensa che in questi anni l'Italia conquisti uno standing internazionale vicino a quello dei paesi core e non più dei periferici.
A questo si dovrebbero accompagnare misure di bilancio restrittive per portare l'avanzo primario a sfiorare il 4%, come previsto nel Def, rispetto all'attuale 1,6%,
Non solo. L'Ufficio parlamentare di bilancio, l'organismo indipendente che svolge verifiche sulle stime di finanza pubblica del governo, evidenza i rischi delle previsioni, soprattutto per il biennio 2016/2017, in tema di variabili esogene. Il Def replica infatti per il 2017 il favorevolissimo contesto attuale con l'euro a 1,07 dollari e il greggio a 57 dollari al barile.
TAGLIO DEBITO DI 3 PUNTI PERCENTUALI OGNI ANNO
Nell'insieme il governo presenta un sentiero molto virtuoso che prevede il taglio del debito/pil di oltre 9 punti percentuali nel triennio 2016-2018, avvicinandosi a quanto richiesto dalla Commissione europea (un ventesimo all'anno della quota eccedente il 60% del Pil, oggi il 3,5% annuo ma destinato a calare).
Bruxelles a febbraio non ha aperto una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia, nonostante il mancato calo del debito nel triennio 2013-2015, tenendo conto principalmente del quadro macroeconomico molto negativo e delle riforme in essere e pianificate.
Una valutazione tollerante anche per il futuro sembra possibile solo se Bruxelles, in un quadro dove un paese influente come la Francia ha già fatto sapere che dal 2016 taglierà il deficit strutturale meno di quanto richiesto, allenterà ulteriormente le richieste di politica economica.
A vincoli invariati, invece, l'Italia dovrà rispettare i numeri del Def e per questo ogni tassello del puzzle dovrà essere al posto giusto.
((Redazione Milano, reutersitaly@thomsonreuters.com, +39 02 66129654, Reuters messaging: luca.trogni.thomsonreuters.com@reuters.net))