a cura di Carlo De Luca, Responsabile AM di Gamma Capital Markets
In attesa di vedere le ultime trimestrali e senza dare peso eccessivo alle previsioni macroeconomiche (tutte errate dal post Covid ad oggi), possiamo iniziare a guardare il 2024 con una certa serenità, per lo meno sui mercati finanziari, del cui cinismo siamo ormai tutti consapevoli.
Ad un mese dallo scoppio della dolorosissima guerra Hamas-Israele che sta causando un prezzo altissimo in termini di vite umane e nella speranza di una ricomposizione del conflitto a breve, la domanda da porsi, a nostro parere, al momento non è tanto se ci sarà o meno un’escalation bellica tale da allargare il conflitto su una scala internazionale ancora più estesa, quanto se – a causa della guerra/e in corso – il prezzo del petrolio e degli altri beni energetici riuscirà ad essere mantenuto sotto controllo o meno. Più che la guerra, infatti, per i mercati continua ad essere l’inflazione la variabile chiave cui guardare.
Ma facciamo un passo indietro. Gli ultimi dati macroeconomici americani stanno mostrando un quadro che – a fronte di un costo del denaro altissimo e avvenuto repentinamente – non può che fare del 2023 il terzo anno di “normalizzazione” post pandemia. Sebbene ci sembri un ricordo ormai sbiadito, nel 2020 il mondo si è fermato per sei lunghi mesi e questo evento eccezionale produce ancora delle conseguenze fortissime sui mercati finanziari. Il motore del mondo è ancora in fase di avviamento, le vendite al dettaglio rimangono ancora il cuore dell’economia americana (che cresce quasi del 5% in un anno che molti analisti avevano previsto in recessione), mentre il mercato immobiliare e quello del lavoro iniziano a mostrare le prime crepe sotto lo smalto.
Come sarà dunque il 2024 alle porte?
A nostro parere, le chance di entrare in un anno recessivo sono più basse rispetto a quelle di infilarsi in una nuova Goldilocks economy (che, per coloro che si chiedono cosa significhi, nella famosa storia di Riccioli d'oro “Goldilocks” e i tre orsi, la giovane Riccioli d'oro afferma di preferire il porridge che è della giusta temperatura, né troppo caldo né troppo freddo) ovvero un'economia moderata con un'inflazione bassa, condizioni ideali per una politica monetaria favorevole al mercato.
Ma a noi non interessano né le storielle né le previsioni macro, spesso fallaci per il semplice fatto che esistono così tante variabili che il rischio di incappare in una previsione errata è maggiore che quello di ragionare in assenza di stime. Siamo però ragionevolmente fiduciosi sul fatto che il mercato azionario il prossimo anno possa salire per due motivi. Il primo è che, avendo raggiunto il picco dei tassi, il settore della tecnologia e quello dell’energia alternativa sono posizionati ottimamente per un deciso recupero. Il secondo è che nel 2024 negli Stati Uniti si vota per le Presidenziali e la Borsa americana non è mai scesa negli anni elettorali. A maggior ragione ora, con la Fed alle prese con gli eccessi manifestatisi sulla parte lunga della curva che, dopo aver toccato il tasso record del 5,20% a 2 anni e del 5,10% a 10 anni ha visto intervenire prontamente la banca centrale americana con uno statement in cui, senza escludere un ulteriore ultimo rialzo, Jay Powell non ha perso l’occasione di rimarcare come- seppur in presenza di un potenziale rallentamento, anche la Fed non poteva non accorgersi che i rendimenti di lungo periodo stavano aumentando (forse, eccessivamente, aggiungiamo noi).
Se osserviamo la curva mediana dei rendimenti USA ora possiamo notare come quello relativo al decennale sia aumentato dal 4 al 5% in tre mesi (1 punto) mentre le obbligazioni di breve sono rimaste ferme, tanto che fino ad un anno di scadenza la curva è rimasta identica, appiattendosi molto ad ottobre. In poche parole, il mercato ci ha sorpreso alla grande!
Infatti, mentre gli analisti consigliavano le scadenze lunghe perché ci si aspettava che fossero i tassi a breve a scendere, in realtà è successo esattamente il contrario. Il motivo principale per cui assistiamo al ritorno di una Fed “colomba” non è né la recessione, né il soft landing, né la correzione azionaria. Altresì, la causa va ricercata nella correzione dei bond a lunga scadenza, uno dei motivi che ha citato Powell in conferenza stampa, d’altronde. L’evento delle lunghe scadenze è noto. Significa che la banca centrale sta intervenendo perché il rischio di dover riportare perdite in conto capitale in moltissimi portafogli istituzionali è altissimo. Infatti, se tutti riducono le scadenze (oppure hanno lasciato scadere senza rifinanziare perché 1 anno al 5,5% rendeva di più dei 10 anni al 4%), la parte lunga della curva aumenta i rendimenti con il prezzo in picchiata. Ed è proprio per evitare un brusco ritorno alla normalizzazione della curva che la Fed sta mettendo gli investitori sulla strada giusta, preparandoli ad un futuro orientamento di taglio dei tassi.
Situazione sotto controllo, dunque?
Non è detto. Anche se Powell ha intrapreso il sentiero più corretto e lo ha comunicato in maniera impeccabile, il diavolo è nei dettagli. Perché se l’inflazione interrompesse la sua discesa per colpa della guerra e di un prezzo al barile che tornasse insostenibile, la banca centrale americana si potrebbe trovare nell’impossibilità di ridurre i tassi. Ecco perché questa guerra per Joe Biden “non s’ha da fare”.