A cura di Michele De Michelis, Responsabile investimenti di Frame Asset Management
Mi è sempre piaciuto viaggiare per gli Stati Uniti, forse a causa dei cartoni animati della Walt Disney divorati da bambino e nel corso della mia vita ho percorso in lungo e in largo le terre americane non solo metropoli come New York, Boston, Los Angeles o Miami. Mi è spesso capitato di passare e di fermarmi a conversare con gli abitanti delle varie Springfield del Midwest realizzando che i personaggi dei Simpsons non sono inventati, ma reali.
Questa premessa è fondamentale per capire le motivazioni che hanno portato Trump non a vincere ma a stravincere le Presidenziali americane.
Credo di non offendere nessuno dicendo che il cittadino medio americano normalmente ha poca cultura, nessun interesse in ciò che accade al di fuori dei propri confini e spesso non è mai uscito non solo dalla dagli U.S.A. ma dal proprio Stato. Ha interessi modesti, gli basta poco per vivere e credere nel sogno americano, o meglio ci credeva fino alla grande crisi del 2008, quando tutto è cambiato per la prima volta dalla grande depressione post 1929. Pertanto da allora ha avuto paura perdendo fiducia.
Questa è la base elettorale di Trump e lui è stato in grado di farli tornare a sognare con una comunicazione mirata che ha fatto leva su aspettative semplici di menti semplici. Questo il motivo per cui gli operai dell’Ohio o i latinos della Florida hanno votato un miliardario ultraliberale dal passato tutt’altro che limpido.
Ormai anche i muri sanno che il suo motto è “America first” e che vuole rilanciare tutta l’economia a stelle e strisce - non soltanto i grandi conglomerati - e per fare questo non esiterà a imporre dazi alle importazioni, rimandare oltre frontiera gli immigrati illegali, ridurre le tasse e aumentare la spesa pubblica.
Il suo obiettivo dichiarato è molto semplice: nel prossimo futuro un carpentiere del Texas dovrà comprare un cacciavite fabbricato nel Minnesota e viceversa , non certo a Francoforte o a Pechino.
La reazione dei mercati alla notizia ufficiale dell’elezione è stata una continuazione del “Trump trade” ovvero un rialzo dei mercati azionari, in particolare delle small e midcap e un rialzo dei tassi a lungo termine, con la conseguenza che gli operatori adesso chiedono un premio al rischio per comprare debito americano.
Il ritorno dell’inflazione rimane il grande rischio di questa politica economica, anche se Donald Trump nella sua campagna elettorale l’ha spesso dichiarata nemica sua e del popolo americano (come dimenticarsi il famoso esempio delle scatolette dei Tic Tac per spiegare ai veri Homer Simpson il concetto di inflazione, aldilà di tanti paroloni?!).
Basti pensare a cosa accadrà quando metterà i dazi sui beni importati e rispedirà a casa i milioni di braccianti che lavorano la terra per salari da fame. I costi alla produzione ovviamente aumenteranno e così pure, magari complice anche un’economia spumeggiante, i prezzi al consumatore.
Da questa parte dell’Oceano Atlantico, l’Unione Europea dovrà mettere da parte i nazionalismi e lavorare a politiche di investimento importanti, come ben descritto a suo tempo da Mario Draghi, poichè è l ‘unione che fa la forza!
A causa dei dazi dovremo necessariamente aumentare le esportazioni al di fuori degli Stati Uniti, cercando nuovi mercati di sbocco. Magari in Cina, dove il governo di Xi Jin Ping sta cercando di rilanciare l’economia e i mercati azionari con un piano “monstre”, seppur la comunicazione continui a essere debole.
A Wall Street, l’indice S&P 500 ha sfondato per la prima volta nella storia il livello dei 6000 punti, dato ancor più impressionante se si pensa che solo a ottobre 2023 era a 4100, avendo registrato così una performance di oltre il 45 % in poco più di un anno. Non ho idea di se e quanto ancora possa apprezzarsi (le grandi banche d’Investimento si sono sbizzarrite nel fornire vari target), per quanto mi possa aspettare una redistribuzione dei flussi (rispetto a quanto accaduto negli ultimi due anni) a favore delle medie e piccole aziende, mentre per quanto riguarda la componente obbligazionaria rimarrei su duration corte sia sui titoli corporate che governativi, poiché il movimento sui tassi non dà l’idea di essersi fermato.
In Europa mi auguro che la BCE continui con la sua politica di tagli considerando che le condizioni economiche attuali sono tutt’altro che rosee.
In conclusione, un piccolo cenno su Warren Buffet, che recentemente ha venduto moltissime azioni, creando una marea di liquidità. Perché lo abbia fatto nessuno lo sa, ma, se qualcuno volesse imitarlo e “accontentarsi”, credo che a questi livelli potrebbe non essere affatto una mossa insensata, perché queste Borse sono tutto fuorchè a buon mercato.