Salvati dalla campanella di chiusura. Proprio quando il tam-tam su un crollo stava per raggiungere il picco e gli esperti si richiamavano addirittura al signor “Vedo tutto nero” per eccellenza (Marc Faber) per sostenere le loro teorie su una crisi finanziaria peggiore di quella vista nel 2008, i mercati hanno chiuso per il fine-settimana. Anche se in Asia le borse sono calate ancora sulla scia dei timori per la Cina, non si respira lo stesso panico. Gli asset legati al rischio sono riusciti a riprendersi leggermente dopo l’abbassamento della quotazione dell’USD/CNY, senza tuttavia riuscire a mantenere i guadagni. I future sui listini azionari europei puntano a un rialzo in leggero ribasso, mentre quelli sugli indici USA puntano a un rialzo. L’indice composito di Shanghai ha ceduto il 4,76%, l’Hang Seng il 2,32%, invece la borsa giapponese è rimasta chiusa per festività.Il solido rapporto sulle buste paga di dicembre pubblicato venerdì (rialzo di 292 mila unità) mostra che il mercato occupazionale americano continua a migliorare. Consideriamo l’attuale volatilità sui mercati azionari come una correzione salutare e non una vera e propria crisi. Gli interventi caotici e poco avveduti dei legislatori cinesi renderanno la Cina vulnerabile a nuovi rischi al ribasso, ma la fiducia nella ripresa USA (la debolezza dei dati del quarto trimestre dovrebbe essere letta come una fase temporanea di debolezza e non un declino) dovrebbe frenare il contagio. Visti i pochi appuntamenti in calendario questa settimana, la Cina e gli eventi geopolitici nel Medio Oriente continueranno a dominare le prime pagine e a guidare i prezzi degli asset. I prezzi deboli delle materie prime e le ripercussioni sulla domanda globale quest’anno avranno un effetto marcato sui mercati emergenti. Questa settimana preverrà l’avversione al rischio; materie prime, valute ad esse legate (nello specifico NOK e CAD vista la scarsa domanda e l’eccedenza dell’offerta) e dei mercati emergenti non vengono richieste dagli investitori. Il rand sudafricano (ZAR) è stato oggetto di forti pressioni a vendere, perché le apprensioni per la Cina e per i prezzi delle materie prime, oltre all’instabilità locale e alla debole crescita economica, hanno innescato vendite tecniche da parte degli investitori giapponesi (come riferisce Bloomberg). Il miglioramento dei dati riferiti al mercato del lavoro indicano un rafforzamento dell’economia USA e l’abilità di gestire tassi d’interesse più alti, circostanza che dovrebbe avvantaggiare l’USD. È interessante notare che, da venerdì, a dispetto del dato positivo sulle buste paga, le attese di un rialzo del tasso a marzo dalla Fed sono scese del 3,0%, in scia ai timori per la Cina e per il caro-dollaro (il motivo è che si prevede un’assenza di richiesta di USD dopo i dati). Al di là dei problemi della borsa cinese, stando ai dati ufficiali, l’inflazione dei prezzi al consumo è salita lievemente a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari. L’IPC a/a cinese è salito all’1,6% dall’1,5% di novembre, l’IPP è rimasto invariato al -5,9%. L’esiguo recupero forse è un primo indicatore che la domanda dei consumatori si sta stabilizzando. La PBoC ha fissato la media per lo CNY a 6,5626 a fronte del 6,5938 dell’ultima chiusura. In Australia, le offerte di lavoro sono scese dello 0,1% dall’1,3%. In Nuova Zelanda, i permessi di costruzione sono aumentati dell’1,8% a fronte del dato rivisto al rialzo pari al 5,4%. Questi dati non aiuteranno né l’AUD né l’NZD a recuperare il consistente terreno perduto contro l’USD. La coppia AUD/USD rimane in un pattern ribassista, con il rischio di un ulteriore ribasso che porterebbe a un test del minimo di settembre a 0,6905. In un contesto di avversione al rischio, le valute di finanziamento continueranno a trovare richiesta. La coppia USD/JPY è ancora oggetto di vendite, si prevede un’estensione del momentum ribassista fino al minimo di agosto a 116,15 (dopo il superamento del debole supporto a 116,50). Oggi gli investitori monitoreranno i dati sull’inflazione in Norvegia, le vendite al dettaglio in Svizzera e i nuovi permessi di costruzione residenziali in Canada. L’IPC primario norvegese dovrebbe scendere al 2,6% dal 2,8%, l’indice core allo 0,0% dallo 0,2%. Poiché i prezzi del Petrolio Greggio continuano a scendere, è probabile che la Norges Bank tagli di nuovo i tassi alla riunione di marzo, indipendentemente dai dati riferiti all’inflazione. Rimaniamo decisamente ribassisti sulla NOK alla luce della domanda globale e delle dinamiche dei prezzi delle materie prime. |