La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 17.10.2019
Quando il Presidente USA Donald Trump ha annunciato su Twitter, l’11 ottobre, che i negoziati commerciali con la Cina stavano andando bene, i mercati del greggio hanno reagito rapidamente. Alle 14:00, il prezzo è schizzato dell’1,5% e poi è arrivata la notizia secondo cui i negoziatori erano giunti ad un accordo parziale per ridimensionare lo scontro commerciale e preparare il terreno ad altre trattative.
Secondo il Presidente, l’accordo iniziale stretto venerdì scorso dovrà essere seguito da un accordo sulla “fase uno”, che sarà finalizzato nelle prossime tre settimane.
I mercati petroliferi sono stati chiaramente entusiasti per la prospettiva di progressi verso un accordo commerciale, nonché per le parole di Trump secondo cui gli Stati Uniti avrebbero sospeso l’aumento dei dazi dal 25% al 30% su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi che era in programma per questa settimana. In effetti, il Brent ha chiuso sopra i 60 dollari al barile venerdì.
I dati economici pesano sul prezzo del greggio
Tuttavia, martedì, i mercati del greggio si sono mostrati molto meno entusiasti dei progressi nei rapporti commerciali USA-Cina. La settimana si è aperta con i dati doganali cinesi che hanno rivelato un calo delle importazioni per il quinto mese consecutivo. Anche i dati sulla redditività aziendale della fabbriche cinesi hanno mostrato una flessione.
Apparentemente, la prima fase dell’accordo commerciale con la Cina non è bastata a mantenere soddisfatti i mercati del greggio alla luce di nuovi dati economici negativi, con il Brent crollato dell’1,15% ed il WTI dell’1,5%.
Il greggio WTI è sceso ancora ieri quando i dati dell’API (pubblicati con un giorno di ritardo per via della festa del Columbus Day negli Stati Uniti lunedì) hanno indicato un aumento significativo delle scorte di greggio USA (oltre 10 milioni di barili). Tuttavia, il calo, che è stato solo dello 0,3%, rivela un sentimento di scetticismo circa il fatto che i dati dell’EIA mostrino un incremento altrettanto alto delle scorte quando saranno pubblicati, nel corso della giornata.
Il rapido dietrofront dei mercati dopo l’euforia iniziale per la notizia sui progressi commerciali USA-Cina spinge a chiedersi: cosa servirebbe per far schizzare i prezzi sul mercato petrolifero odierno?
Prerequisiti per un’impennata duratura
Dal punto di vista geopolitico, questa domanda ha avuto risposta a settembre, quando la rapida ripresa di Aramco dall’attacco contro i suoi impianti petroliferi ha riportato giù i prezzi dal balzo di 9 dollari in sole due settimane. Ci vorrebbe probabilmente una vera e propria guerra nel Golfo Persico con bombardamenti aerei degli impianti petroliferi per scatenare un rialzo prolungato dei prezzi del greggio. Persino gli attacchi su piccola scala in atto contro le petroliere nel Golfo Persico - e ora anche nel Mar Rosso - stanno avendo solo un impatto passeggero sui prezzi del greggio.
Negli Stati Uniti, un divieto sul fracking, in linea con quanto afferma la candidata Democratica alle presidenziali Elizabeth Warren, potrebbe ridurre la produzione di greggio e gas nella nazione ad un livello tale da spingere i prezzi in modo sostenuto. Questo scenario, proprio come una guerra senza esclusione di colpi di cui abbiamo parlato, è una prospettiva poco probabile.
Una possibilità più probabile che potrebbe materializzarsi nelle prossime tre settimane è la prima fase dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. Questo dovrebbe, ovviamente, essere seguito da ulteriori negoziati per un accordo commerciale più ampio, ma sarebbe comunque un segno concreto del fatto che i rapporti commerciali tra le due principali economie del mondo stanno compiendo dei veri passi in avanti verso la normalizzazione.
Un altro sviluppo che provocherebbe un’impennata dei prezzi del greggio sarebbe un accordo reciproco sulla Brexit tra Regno Unito ed Unione Europea. I prezzi del greggio reagirebbero positivamente alla fine dell’incertezza economica derivante dalla situazione irrisolta della Brexit.