L’attuale periodo dove la normalità è diversa da quella di soltanto pochi mesi fa, è il preludio a cambiamenti epocali. Uno di questi grandi cambiamenti potrebbe essere stato dato dalla Federal Reserve.
Nel meeting virtuale di Jackson Hole il numero uno della FED, Jerome Powell, ha annunciato che il target del 2% di inflazione (stare al di sotto ma vicini) può essere superato. Come a dire, che in questo momento particolare, dove l’economia non sappiamo in quale direzione andrà nei prossimi mesi a causa di possibili restrizioni, l’inflazione è un fattore secondario, da tenere in considerazione solo quando siano stati raggiunti obiettivi di occupazione soddisfacente.
Se da un lato può essere interpretata come una soluzione di buon senso, ma anche economicamente ragionata (si vedano infatti le richieste di sussidi di disoccupazione costantemente sopra il milione negli ultimi mesi negli USA e quindi il bisogno di politiche espansive), dall’altro ci domandiamo se in un periodo più lungo può dare effetti non negativi.
Alla base delle moderne banche centrali vige la cosiddetta teoria della credibilità, il modello Barro-Gordon, dove la BC si deve rendere dura e inamovibile da ciò che dice di fare. Parafrasando, se la FED dice di mantenere il tasso di inflazione al di sotto ma vicino al 2%, lo deve fare. Non può permettersi di ritrattare ciò che ha detto. E perché non se lo può permettere? Perché gli individui sono soggetti razionali. Se la FED non ha mantenuto la parola oggi, perché gli individui devono credere alla parola che darà un domani?
Da qui il problema che i soggetti vanno ad incorporare le aspettative inflattive nella determinazione dei prezzi odierni. In termini macroeconomici passiamo dalla curva di Phillips alla curva di Phillips aumentata dalle aspettative. Ciò vuol dire che quando i lavoratori andranno ad offrirsi sul mercato del lavoro e quando i produttori offriranno i loro beni, i prezzi di questi (salari e beni) saranno più elevati in quanto avranno già incorporato al loro interno l’inflazione che si verificherà un domani.
Il rischio che una situazione di questo genere si sviluppi non è così remoto, tutto dipenderà se la FED effettivamente metterà in piedi politiche monetarie che pensano prevalentemente al tasso di disoccupazione non curandosi della perdita del potere d’acquisto.
I mercati, invece, come reagiranno (o hanno già reagito) a questa notizia?
Il cambio EUR/USD è aumentato fino a sfiorare 1,20$ per 1€ e questo è sintomo che qualcosa è già stato assorbito (oppure i maligni credono che è una strategia USA per limitare le esportazioni dall’UE ad oltreoceano?), e poi i listini azionari che stanno battendo record storici cosa vogliono indicare?
Da una parte possiamo affermare che all’uscita di una crisi di portata mondiale non è troppo strano che i prezzi siano su livelli alti rispetto a quelli che battevano precedentemente, dato che in una fase di ripartenza ci sono prospettive di miglioramento (anche a fine crisi 2008 i listini erano alti). D’altro canto, collegandosi al discorso inflazione è possibile che gli operatori di borsa abbiano anticipato le mosse delle Banche centrali scommettendo che in un momento come questo le authority monetarie allargassero la loro operatività.
Altro aspetto di cui si potrebbe tener conto è il cosiddetto TINA (there is no alternative) per cui tutti gli operatori avrebbero investito nell’equity, dati i rendimenti negativi del comparto obbligazionario (rendimenti negativi per alcuni Stati anche a 10 anni) il quale non assicurerebbe uno scudo contro la probabile inflazione.
Il sasso è stato lanciato da Powell e quali effetti avrà è un’incognita del tutto sconosciuta ad oggi. Ci potrebbero essere sorprese sia in positivo che in negativo e molto dipenderà dall’aspetto psicologico dei singoli operatori nonché della massa: questi si faranno prendere dall’euforia dei prezzi in rialzo oppure saranno cauti con il timore di una possibile bolla?