“La pubblicità non è solo pubblicità” (Oliviero Toscani)
Le borse europee hanno chiuso in ribasso lunedì, ma lontane dai minimi intraday, seguendo una settimana positiva nonostante il calo di venerdì. Negli Stati Uniti, gli indici hanno mostrato una performance mista, con l’S&P 500, il Nasdaq e il Russell 2000 ancora in dopo che la scorsa settimana avevano registrato forti ribassi. Il comparto tecnologico ha sofferto, con Nvidia in calo a causa di preoccupazioni legate all’architettura Blackwell e alle restrizioni sui chip AI imposte dalla Casa Bianca. A pesare ulteriormente sui mercati è stato lo sfondo di tassi di interesse elevati, il titolo di Stato decennale è tornato intorno al 5%, (il BTP italiano ha invece riavvicinato il 4% con lo spread sui massimi da inizio dicembre), con crescenti preoccupazioni per il deficit e un’inflazione persistente, nonostante i dati positivi sull’occupazione di dicembre. Tuttavia, i settori value e ciclici hanno offerto un certo supporto, con i titoli legati alle materie prime in evidenza anche per effetto del forte aumento del petrolio e del gas.
L’Europa è modesta
L’Europa si prepara a una crescita modesta nel 2025, con Goldman Sachs (NYSE:GS) che prevede un ritorno del 3% per l’indice STOXX 600 nei prossimi dodici mesi. Tra i settori più promettenti, il tecnologico dovrebbe crescere oltre il 20% annuo fino al 2026, mentre il comparto Difesa continuare la sua straordinaria traiettoria al rialzo, in aumento del 232% dal 2021, spinto da tensioni geopolitiche e possibili cambiamenti di policy dopo le elezioni tedesche. Anche il settore Healthcare e quello dei viaggi e tempo libero mostrano segnali positivi. Tuttavia, i settori tradizionalmente forti come i beni di lusso e la chimica potrebbero affrontare venti contrari, con una domanda debole nei mercati chiave come l’automotive e le costruzioni. Barclays (LON:BARC) ha evidenziato come i programmi di share buyback stiano emergendo come un importante catalizzatore, con circa €290 miliardi annunciati nel 2024, supportando i mercati in un contesto di incertezza. Le preoccupazioni legate all’inflazione e al deficit continuano a influenzare negativamente i mercati obbligazionari globali, esercitando pressione sui mercati azionari. Nonostante i forti dati sui Non-Farm Payrolls di dicembre, l’attenzione rimane sui fattori sottostanti, in particolare il deficit e la persistenza dell’inflazione, ulteriormente aggravata dal recente rialzo del prezzo del petrolio tornato in prossimità di $80.
Il dollaro è sempre al centro
Le dinamiche del dollaro statunitense rimangono centrali nei mercati globali, rafforzandone il ruolo di valuta dominante. Nonostante il crescente interesse verso alternative come le valute dei BRICS, il Bitcoin e l’oro, l’USD continua a essere il perno delle transazioni finanziarie globali, della valutazione degli asset e della conservazione della ricchezza. Lo hanno rilevato gli analisti di Macquarie Capital secondo i quali che le altre opzioni restano marginali, con un impatto simile a meri errori di arrotondamento. Questo dominio, tuttavia, comporta rischi significativi: un rapido apprezzamento del dollaro potrebbe comprimere la liquidità globale e deflazionare la domanda, con il rischio di innescare vendite disordinate sui mercati e ridurre la flessibilità monetaria delle economie non legate al dollaro. Il biglietto verde rappresenta attualmente il 73% dei finanziamenti globali non residenti, pari a circa $13 trilioni, e copre il 48% delle transazioni SWIFT e l’88% degli scambi di valuta estera. Sebbene la quota delle riserve globali sia scesa lievemente al 58%, nessuna valuta appare pronta a sostituirlo. Secondo Macquarie, per mantenere uno status globale, una valuta deve essere sostenuta da un ampio mercato obbligazionario, dalla libertà dai controlli sui capitali e dalla capacità di finanziare deficit delle partite correnti. Un ulteriore rafforzamento del dollaro potrebbe limitare la capacità delle banche centrali dei mercati emergenti di stimolare le loro economie, aumentando i rischi di instabilità finanziaria. Guardando avanti, Macquarie sottolinea che l’eccezionalismo statunitense continuerà a dominare, alimentato da fattori di crescita secolare piuttosto che da ciclicità.
Le borse europee hanno chiuso in ribasso lunedì, ma lontane dai minimi intraday, seguendo una settimana positiva nonostante il calo di venerdì. Negli Stati Uniti, gli indici hanno mostrato una performance mista, con l’S&P 500, il Nasdaq e il Russell 2000 ancora in dopo che la scorsa settimana avevano registrato forti ribassi. Il comparto tecnologico ha sofferto, con Nvidia in calo a causa di preoccupazioni legate all’architettura Blackwell e alle restrizioni sui chip AI imposte dalla Casa Bianca. A pesare ulteriormente sui mercati è stato lo sfondo di tassi di interesse elevati, il titolo di Stato decennale è tornato intorno al 5%, (il BTP italiano ha invece riavvicinato il 4% con lo spread sui massimi da inizio dicembre), con crescenti preoccupazioni per il deficit e un’inflazione persistente, nonostante i dati positivi sull’occupazione di dicembre. Tuttavia, i settori value e ciclici hanno offerto un certo supporto, con i titoli legati alle materie prime in evidenza anche per effetto del forte aumento del petrolio e del gas.
L’Europa è modesta
L’Europa si prepara a una crescita modesta nel 2025, con Goldman Sachs (NYSE:GS) che prevede un ritorno del 3% per l’indice STOXX 600 nei prossimi dodici mesi. Tra i settori più promettenti, il tecnologico dovrebbe crescere oltre il 20% annuo fino al 2026, mentre il comparto Difesa continuare la sua straordinaria traiettoria al rialzo, in aumento del 232% dal 2021, spinto da tensioni geopolitiche e possibili cambiamenti di policy dopo le elezioni tedesche. Anche il settore Healthcare e quello dei viaggi e tempo libero mostrano segnali positivi. Tuttavia, i settori tradizionalmente forti come i beni di lusso e la chimica potrebbero affrontare venti contrari, con una domanda debole nei mercati chiave come l’automotive e le costruzioni. Barclays (LON:BARC) ha evidenziato come i programmi di share buyback stiano emergendo come un importante catalizzatore, con circa €290 miliardi annunciati nel 2024, supportando i mercati in un contesto di incertezza. Le preoccupazioni legate all’inflazione e al deficit continuano a influenzare negativamente i mercati obbligazionari globali, esercitando pressione sui mercati azionari. Nonostante i forti dati sui Non-Farm Payrolls di dicembre, l’attenzione rimane sui fattori sottostanti, in particolare il deficit e la persistenza dell’inflazione, ulteriormente aggravata dal recente rialzo del prezzo del petrolio tornato in prossimità di $80.
Il dollaro è sempre al centro
Le dinamiche del dollaro statunitense rimangono centrali nei mercati globali, rafforzandone il ruolo di valuta dominante. Nonostante il crescente interesse verso alternative come le valute dei BRICS, il Bitcoin e l’oro, l’USD continua a essere il perno delle transazioni finanziarie globali, della valutazione degli asset e della conservazione della ricchezza. Lo hanno rilevato gli analisti di Macquarie Capital secondo i quali che le altre opzioni restano marginali, con un impatto simile a meri errori di arrotondamento. Questo dominio, tuttavia, comporta rischi significativi: un rapido apprezzamento del dollaro potrebbe comprimere la liquidità globale e deflazionare la domanda, con il rischio di innescare vendite disordinate sui mercati e ridurre la flessibilità monetaria delle economie non legate al dollaro. Il biglietto verde rappresenta attualmente il 73% dei finanziamenti globali non residenti, pari a circa $13 trilioni, e copre il 48% delle transazioni SWIFT e l’88% degli scambi di valuta estera. Sebbene la quota delle riserve globali sia scesa lievemente al 58%, nessuna valuta appare pronta a sostituirlo. Secondo Macquarie, per mantenere uno status globale, una valuta deve essere sostenuta da un ampio mercato obbligazionario, dalla libertà dai controlli sui capitali e dalla capacità di finanziare deficit delle partite correnti. Un ulteriore rafforzamento del dollaro potrebbe limitare la capacità delle banche centrali dei mercati emergenti di stimolare le loro economie, aumentando i rischi di instabilità finanziaria. Guardando avanti, Macquarie sottolinea che l’eccezionalismo statunitense continuerà a dominare, alimentato da fattori di crescita secolare piuttosto che da ciclicità.