I dati sul PIL americano e sull’inflazione hanno alimentato il mantra della stagflazione. Innanzitutto, la crescita del PIL è stata dell’1,60% su base trimestrale annualizzata. Un dato bel lungi da un’economia stagnante e molto più vicino al suo livello potenziale, anche perché gran parte del rallentamento ha riguardato voci come le scorte (-0,35%) e le esportazioni nette (-0,86%). Considerando il mercato del lavoro ancora particolarmente ristretto e la forte spesa per consumi personali, parlare di stagnazione è ancora molto prematuro.
In merito all’inflazione, il PCE, in effetti, ha evidenziato segni di una certa riacutizzazione, ma questo non deve sorprendere visto il precedente dato del CPI. Il PCE mensile, complessivo e core, ha mostrato un aumento dello 0,30% rispetto al mese di febbraio. Direi non poco, anche perché annualizzato ci restituisce un valore del 3,90%. Quello che preoccupa di più è il tasso di crescita annualizzato degli ultimi tre mesi che si attesta al 4.40%. In altre parole e da qualsiasi angolatura la si osservi, l’inflazione rimane alta, con indiscussi segni di ripresa a medio termine. A mio modo di vedere, il PCE si aggira intorno al 2.5% - 3% su base annua e, qualora fosse, non sarebbe un dato malvagio, anche se il limite del 3% non lascerebbe sogni tranquilli. Questi dati sono anche frutto di una spesa per consumi personali che continua ad essere molto sostenuta. La spesa personale reale è cresciuta dello 0.50% su base mensile, con in testa la spesa per beni energetici e servizi come l’assistenza sanitaria, mentre quella a dollari correnti è balzata dello 0.80%. In conclusione, abbiamo avuto dei dati in chiaro scuro, che se da un lato renderanno piuttosto semplice il lavoro di Powell, che non potrà esimersi di lasciare i tassi di interesse inalterati, dall’altro la situazione è piuttosto complessa e le sfide che dovrà affrontare la FED nei prossimi mesi non saranno affatto semplici.