Oggi gli operatori analizzeranno i verbali della riunione del FOMC d’inizio febbraio alla ricerca di eventuali segnali di un rialzo del tasso d’interesse a marzo.
La scorsa settimana, durante la sua audizione al Congresso USA, la presidente della Fed Yellen ha detto chiaramente che a marzo potrebbe esserci un intervento. Gli investitori si aspettano un rialzo anticipato sulla scia dell’inatteso rialzo dei dati riferiti a crescita e inflazione.
A gennaio l’IPC primario è salito dello 0,6%, ritmo più veloce da febbraio 2013, e il ritmo annuale ha accelerato al 2,5%. L’attenzione si concentra soprattutto sull’inflazione più forte del previsto, ma le componenti volatili (benzina, vendite di auto nuove e abbigliamento) suggeriscono che parte dell’impennata dei prezzi tornerà a normalizzarsi nei prossimi mesi.
Sebbene il dato non giochi a favore di Yellen (e malgrado i commenti aggressivi dei falchi Lacker e Rosengren), secondo noi un rialzo è improbabile.
In termini più generali, sospettiamo che la mancata crescita delle retribuzioni dovuta al basso tasso di partecipazione impedirà alla Fed di premere il grilletto.
I membri della Fed vorranno inoltre tenersi pronti per adeguarsi alle imminenti politiche dirompenti in materia di fiscalità e scambi commerciali.
Dai Fed Fund emerge una probabilità intorno al 20% di un rialzo a marzo e del 47% a giugno.
Manteniamo la nostra previsione: 2 rialzi di 25 punti base nel 2017 (giugno e settembre) e altri due, sempre di 25 punti base, nel 2018.
Questo ritmo graduale non entusiasmerà i tori dell’USD, dando alle banche centrali di altri paesi il tempo necessario per adattarsi a una politica monetaria meno accomodante, riducendo così il vantaggio dei rendimenti USA.
I mercati si prepareranno anche a possibili indizi sul dibattito fra i banchieri della Fed sulla tempistica della riduzione del gigantesco attivo di bilancio della Fed, pari a 3 mila miliardi di USD.
L’USD dovrebbe rafforzarsi in vista del rapporto, ma poi scendere se le nostre previsioni saranno confermate.