Tutti concordano nel dire che gli investitori presteranno molta attenzione ai dati sull’indice sui prezzi al consumo che saranno pubblicati dal Dipartimento per il Lavoro USA oggi [martedì]. Quello su cui gli analisti non concordano (perché fondamentalmente non lo sanno) è come reagiranno gli investitori ai dati.
Le previsioni sono di un incremento del 2,5% su base annua del tasso generale (compresi i prezzi di alimentari ed energetici) e dello 0,5% su base mensile.
Indice IPC USA su base mensile 2019-2021
Un mese non è indicativo di un trend e il cosiddetto effetto base si affermerà man mano che i progressi su base annua rispecchieranno dei prezzi depressi dall’inizio della pandemia di COVID-19.
I policymaker della Federal Reserve hanno più volte dichiarato che si aspettano un incremento dell’inflazione, ma che sarà temporaneo e non innescherà un intervento da parte loro. Ad ogni modo, la Fed preferisce l’indice PCE per seguire l’inflazione, ed è più basso dell’indice IPC.
Ma gli investitori scettici potrebbero avere una reazione esagerata se l’inflazione IPC dovesse risultare significativamente al di sopra delle previsioni. La loro reazione si tradurrebbe in una vendita dei Titoli del Tesoro USA, spingendo in alto i rendimenti in previsione di un trend di un’inflazione più alta e di un aumento dei tassi da parte della Fed prima del previsto.
Alcuni analisti credono che gli aumenti dell’indice IPC siano già messi in conto sul mercato, in quanto i rendimenti dei Treasury a 10 anni, di riferimento, sono quasi raddoppiati ad un certo punto dall’inizio dell’anno.
I prezzi alla produzione USA sono saliti più bruscamente del previsto a marzo, secondo i dati del Dipartimento per il Lavoro, mostrando un balzo del 4,2% sull’anno contro il 3,8% previsto ed il 2,8% su base annua di febbraio. L’indice sui prezzi alla produzione è salito di un intero 1% sul mese anziché dello 0,5% previsto. I rendimenti dei Titoli del Tesoro sono schizzati brevemente ma poi sono scesi.
Gli analisti che si aspettano un aumento dell’inflazione dicono che potrebbe non risultare evidente prima del mese prossimo, quando saranno pubblicati i dati di aprile. Due mesi di netti aumenti comincerebbero a sembrare un trend. E questo potrebbe essere particolarmente vero se gli aumenti su base mensile dovessero essere più rapidi del previsto.
Il Dipartimento per il Tesoro USA ha programmato aste per 271 miliardi di dollari questa settimana, dopo aver messo in pausa le emissioni per un paio di settimane, con 120 miliardi di dollari di obbligazioni con cedole. Le aste di lunedì di 58 miliardi di dollari di buoni del Tesoro a 3 anni e di 38 miliardi di dollari di buoni a 10 anni sono andate bene, e 24 miliardi di dollari di bond trentennali sono in programma per oggi [martedì].
I policymaker della Fed accusano lo stimolo fiscale e l’ulteriore emissione di bond per quello che definiscono un aumento dei premi alla scadenza, ed è questo che sta spingendo su i rendimenti, non un cambiamento fondamentale delle aspettative sull’inflazione o la previsione di un inasprimento della Fed. È uno dei dettagli che emerge dai verbali del vertice di metà marzo del Federal Open Market Committee, pubblicati la scorsa settimana.
La Fed di New York, che gestisce le operazioni di mercato per le banche centrali, ha lasciato intendere che apporterà dei “piccoli aggiustamenti tecnici” ai suoi settori di acquisto, spingendo alcuni analisti ad aspettarsi che la Fed aumenterà la sua quota di bond dai sette ai 20 anni per rispecchiare i cambiamenti di peso sul mercato dovuti al massiccio programma di emissioni. Questo sarà compensato da riduzioni di quelli a scadenza più breve.
Gli investitori presteranno molta attenzione alla pubblicazione questa settimana del programma della Fed sugli acquisti di bond alla ricerca di indicazioni di queste modifiche.