Market Brief
È cosa fatta, la Federal Reserve ha messo fine alla politica dei tassi d’interesse allo zero che perdurava da 7 anni e ha aumentato la fascia obiettivo per il tasso sui fondi federali allo 0,25-0,5% dal precedente 0-0,25%. Come previsto, la decisione è stata accompagnata da un comunicato accomodante, in cui è stata sottolineata la necessità di una normalizzazione graduale della politica monetaria. Ripensando agli ultimi mesi, osserviamo che la Fed ha fatto un ottimo lavoro nel preparare il mercato a un rialzo del tasso, e infatti sia le coppie in USD, sia i rendimenti dei titoli del Tesoro hanno assorbito la novità senza scossoni.
Ciò nonostante, dobbiamo anche segnalare che la banca centrale ha abbassato le previsioni sull’inflazione di fondo per il 2016 per la seconda volta di fila, dall’1,8% all’1,6%; anche l’indice per il 2015 è stato rivisto al ribasso, dall’1,4% all’1,3%. Nel complesso, ci sembra che la Fed abbia semplicemente fornito quello che il mercato chiedeva da mesi: un segnale chiaro che l’economia si è ripresa dalla crisi finanziaria. Non dobbiamo dimenticare che la Fed ha un doppio mandato: la stabilità dei prezzi, con un obiettivo d’inflazione pari al 2%, e livelli sostenibili di occupazione; il minimo che possiamo dire è che finora questi obiettivi non sono stati raggiunti.
Dopo aver resistito a 1,09, l’EUR/USD è sceso a 1,0832 durante la seduta asiatica. Mentre scrivo, l’euro passa di mano a 1,0860 USD. L’indice del dollaro è salito dello 0,45%, a 98,75.
In Giappone, a novembre la bilancia commerciale è passata in territorio negativo sulla scia delle esportazioni deludenti. Il deficit si è attestato a 379,9 miliardi di yen, a fronte dei 449,7 miliardi previsti. A dispetto dello yen più debole, il Giappone fatica a far salire il volume delle esportazioni in un contesto caratterizzato dalla debolezza della domanda globale e dal rallentamento dell’economia cinese. L’USD/JPY annaspa intorno a 122,40, ma mantiene la sua inclinazione rialzista. Al rialzo si osserva una resistenza a 123,76 (massimo 18 novembre).
In Nuova Zelanda, gli ultimi dati mostrano che nel terzo trimestre l’economia è cresciuta del 2,3% a/a (in linea con le attese) o dello 0,9% t/t (a fronte dello 0,8% previsto). Sia l’AUD, sia l’NZD, le cui banche centrali facevano affidamento sulla Fed per far indebolire la valuta, hanno ridotto le perdite contro il biglietto verde dopo l’intervento della Fed. La coppia NZD/USD ha ceduto più dell’1% mentre l’AUD/USD è sceso dello 0,60%, a 0,7193. L’AUD sta per testare il supporto chiave a 0,7160 (minimo multiplo), un altro supporto giace a 0,7017 (minimo d’inizio novembre). Manteniamo un giudizio ribassista per gran parte delle valute legate alle materie prime, le più esposte sono il dollaro australiano e quello neozelandese.
Per quanto riguarda le borse, gli investitori hanno celebrato in tutto il mondo la decisione della Fed, anche i mercati regionali asiatici si sono mossi in territorio positivo. In Giappone, il Nikkei ha guadagnato l’1,59% mentre a Hong Kong l’Hang Seng è salito dello 0,74%. Nella Cina continentale, gli indici compositi di Shanghai e Shenzhen hanno guadagnato rispettivamente l’1,81% e il 2,72%. Infine, in Australia la borsa ha guadagnato l’1,46%, i titoli neozelandesi lo 0,29%. In Europa, i futures sugli indici azionari sono tutti positivi, il CAC 40 francese fa registrare i guadagni maggiori, in rialzo del 2%.
Oggi gli operatori monitoreranno il tasso di disoccupazione in Svezia; la decisione sul tasso d’interesse della Norges Bank (previsto invariato) e di Banxico (prevediamo un rialzo); l’IFO in Germania; la bilancia commerciale in Italia; le vendite al dettaglio nel Regno Unito; il tasso di disoccupazione in Brasile; le vendite al dettaglio, il tasso di disoccupazione, le riserve in oro e valuta straniera in Russia; il saldo delle partite correnti, l’indice sulle prospettive delle aziende di Philadelphia; le richieste iniziali di disoccupazione, l’indice predittivo negli USA.
Arnaud Masset, Market Strategist,
Swissquote Europe Ltd