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Parliamo di politica... aspettando le banche centrali e il CPI

Pubblicato 13.09.2018, 11:59
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Giovedì 13 Settembre

 I mercati si confermano, nella price-action di breve periodo, costante ostaggio delle headline (ieri Italia, US-Cina e ancora Brexit) ma guardando oltre il costante rumore di fondo, i movimenti nelle ultime sessioni non sono stati particolarmente significativi. Ne approfitto per fare il punto della situazione sugli sviluppi politici, sempre più centrali per analisti e investitori, in varie aree del pianeta, in attesa di una sessione odierna davvero densa di appuntamenti tra banche centrali e CPI americano.

 Trump e le elezioni di metà mandato. Il ciclone mediatico (il libro di Bob Woodward e l’op-ed del NYT di una gola profonda nell’amministrazione sono gli ultimi e più rumorosi esempi) che ha riproposto sotto i riflettori i molti difetti del Presidente, ha ricordato ai Repubblicani i pesanti rischi che il partito affronterà il prossimo 6 novembre. Nonostante un’economia in grande spolvero e Wall Street a un tiro di schioppo dai massimi all-time, il gradimento di Donald Trump, dopo mesi di recupero dai minimi di un anno fa, sembra accusare una nuova flessione (anche se dal grafico proposto sotto si vede che la sua situazione non è differente da quelle di Obama o Bush negli ultimi 20 anni). Secondo gli analisti politici più accreditati (consiglio sempre www.fivethirtyeight.com di Nate Silver) la Camera sarebbe quasi persa (80% di probabilità che la maggioranza passi ai Democratici). Per il Senato i Repubblicani restano favoriti, se non altro per il fatto che dei 33 seggi che vanno alle urne 25 sono democratici, ma non così nettamente come qualche tempo fa. Perdere entrambe le camere sarebbe una debacle che potrebbe far vacillare l’altrimenti solida posizione di Trump, non amato ma per ora necessario al suo partito. Il Presidente ha quindi un quasi disperato bisogno di successo mediatico nelle prossime 7-8 settimane. Cercherà di procurarselo con una gestione impeccabile dell’emergenza provocata dall’uragano Florence. L’attivismo sul fronte NAFTA, cercando un compromesso con il Canada che appare lentamente ma inesorabilmente più vicino ogni giorno che passa, appartiene presumibilmente allo stesso desiderio di poter mostrare un altro trofeo in bacheca. Forse anche la riapertura, notizia di ieri, di un canale negoziale con la Cina fa parte di un piano di questo genere. Sapendo che anche con l’aggressività massima non si otterrà il risultato di mettere in seria difficoltà l’economia cinese in meno di due mesi, si cerca un risultato parziale da poter mostrare all’elettorato in tempi brevi. Comprensibile che il mercato non possa entusiasmarsi più di tanto, dopo le illusioni quasi immediatamente svanite nel velleitario tentativo di un paio di mesi fa. Il ministro delle finanze Mnuchin guiderà questo nuovo tentativo, da una posizione più senior rispetto a quello tentato in precedenza da David Malpass (sottosegretario agli affari internazionali) e Wang Shouwen (vice ministro del commercio cinese). Non si sa poi quanto lo sforzo possa esser considerate credibile, venendo coordinato dall’unica colomba in un’amministrazione ormai dominate da falchi, specialmente sul tema del commercio internazionale.

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Fonte: Deutsche bank – Torsen Slok


 Parlamento Europeo. Pur senza portare implicazioni di mercato dirette, quanto successo negli ultimi giorni nell’organo legislativo comunitario è indubbiamente interessante per chi vuol mantenere sul radar sviluppi politici di più ampio respiro, con un occhio alle importanti (perlomeno più importanti rispetto al passato) elezioni europee del maggio 2019. L’EPP (European Popular Party) è il gruppo parlamentare più numeroso (217 seggi sul totale di 751) che siede a Strasburgo. È il contenitore che accoglie le tradizionali forze di centro-destra, per intenderci la CDU-CSU tedesca, Forza Italia, il Partito Repubblicano Francese, i Popolari spagnoli. Le forze di destra più radicali, tipicamente accomunate da nazionalismo e politiche anti-immigrazione (il Fronte Nationale di Marine Le Pen, la Lega di Salvini, il Party for Freedom olandese) sono da tempo confluite in un gruppo parlamentare diverso (Europe of Nations and Freedom, ENF, 35 deputati). Gli strani cugini M5S e UKIP in un altro ancora (Europe of Freedom and Direct Democracy, EFDD, 45 deputati). Fidesz, il partito che governa con maggioranza assoluta l’Ungheria sotto la guida carismatica di Viktor Orban, è invece rimasto nell’EPP, creando negli ultimi tempi, con posizioni sempre più sovraniste, non poco imbarazzo nel condividere uno spazio politico comune a forze ben più liberali e moderate. Ieri a Strasburgo si è votato sull’apertura di una procedura contro l’Ungheria, secondo l’articolo 7 che prevede la sospensione di un paese da diritti e/o fondi comunitari per mancato rispetto di valori fondanti dell’Unione. Orban è stato battuto (448 vs 197, si è superata la soglia dei 2/3 di voti validi, tra cui non si contano i 48 astenuti) anche con voti provenienti dal suo stesso gruppo parlamentare. Inaspettatamente a guidare la rivolta (con aperte dichiarazioni di voto) è stato proprio il contingente (risicato, 5 deputati) del partito austriaco del giovanissimo cancelliere austriaco Kurz che sulle posizioni nazionaliste e anti-immigrazione non è mai stato distante da Orban. Probabile che dietro le quinte ci sia un tentativo di Angela Merkel di distanziare definitivamente l’EPP da posizioni ambigue sulla volontà di una maggiore integrazione europea. Il voto non avrà effetti diretti sullo status ungherese in Europa. Il Parlamento ha votato per chiedere l’intervento del Consiglio Europeo (il consesso dei Capi di Stato), che dovrà decidere all’unanimità. È matematico che, con la Polonia già sottoposta alla stessa procedura da articolo 7, questa unanimità non verrà mai raggiunta (i.e. Polonia e Ungheria faranno sicuramente gioco di squadra nelle rispettive votazioni). Gli effetti pratici però arriveranno, oltre che in un rapporto ancora più teso tra Budapest e Bruxelles, in una probabile sospensione o espulsione di Fidesz dall’EPP. Il vento è cambiato. La tendenza non sembra più essere quella di preferire un alleato scomodo a un nemico dichiarato (quale diventerà il partito di Orban spinto direttamente tra le braccia di un gruppo parlamentare populista) ma quella di abbracciare più apertamente un manifesto europeista, costi quel che costi. Mi sembra evidente che non sia un caso che tutto questo stia accadendo proprio mentre Macron sta lanciando la sua campagna, alleandosi con il gruppo parlamentare liberale (ALDE, 68 deputati) di Guy Verhofstadt (ex PM del Belgio), per una politica riformista verso un percorso di maggiore integrazione europea (una delle proposte è quella, assolutamente condivisibile, trasformare i processi decisionali dall’unanimità alla maggioranza). Mi auguro (e credo) che questa competizione tra Merkel e Macron per occupare uno spazio di riforma costruttiva della governance europea porti delle esternalità positive e non rafforzi il fronte populista. Restate sintonizzati con vista su un’interessante primavera (speriamo non solo di calendario) europea.

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Il Parlamento Europeo

 Italia. Dopo due settimane di costante luna di miele tra il mercato e il governo italiano era inevitabile che iniziasse a sentirsi qualche sassolino nelle scarpe avvicinandosi la scadenza (27 settembre) entro la quale il ministro Tria dovrà presentare la programmazione finanziaria del prossimo triennio. Una prima minacciosa headline, che sembrava proporre un out-out deciso (FIVE STAR SEEKS EU 10 BIO FOR CITIZEN INCOME OR TRIA RESIGNATION: ANSA, ricordo che 10 miliardi sono circa 0.6% di ampliamento del deficit) costava allo spread (10Y vs Bund) quasi 10bp di allargamento. Successivamente il tiro della sintesi giornalistica veniva corretto: SENIOR 5-STAR SOURCE TELLS REUTERS THERE IS TENSION OVER BUDGET RESOURCES BUT NO THREATS TO REMOVE TRIA. Con la smentita della minaccia diretta di rimozione di quello che è ormai unanimemente considerato dai mercati una sorta di garante dell’ortodossia fiscale, il danno alla carta italiana si riduceva a una meno significativa sotto-performance di 3bp.

 Brasile. La stabilizzazione che ha visto una price-action più benigna su molte valute emergenti nelle ultime sessioni (è il caso della lira turca, del rand sudafricano, anche del rublo russo nelle ultime 48 ore) non ha portato particolari benefici al real brasiliano che resta vicino ai minimi di periodo. Qui la causa idiosincratica che sta pesando sugli asset carioca risiede tutta nell’imminente tornata elettorale di ottobre. Questa la situazione dopo la conferma dell’incandidabilità di Lula e l’accoltellamento del candidato di destra Bolsonaro che non ne preclude la partecipazione ma ne limiterà presenza ed energia in campagna elettorale. Bolsonaro è nettamente in testa nei sondaggi (in leggero rafforzamento grazie all’effetto ‘simpatia’ post-attentato). Salvo clamorose sorprese andrà al secondo turno. Per affrontarlo la gara sembra totalmente aperta tra 4 candidati praticamente appaiati nelle intenzioni di voto (intorno al 10%-12%): il centrista Alckmin, l’indipendente ambientalista Marina Silva, il candidato del Partito dei Lavoratori Haddad (che sostituisce Lula), l’altro candidato di sinistra radicale Ciro Gomes. Queste le direttrici su ragionare per valutare gli impatti di mercato:

 I candidati di destra (Bolsonaro, Alckmin) sono visti meglio dagli investitori, con la sinistra radicale non giudicata in grado di mettere mano alle indispensabili riforme strutturali e propensa a politiche fiscali ritenute poco sostenibili. Ovviamente Alckmin è la soluzione nettamente più gradita al mercato, ma anche Bolsonaro (con il suo manifesto ‘Brazil First’), il cui team economico-finanziario è considerato credibile, innescherebbe un rimbalzo dai livelli attuali.

 Alckmin avrà a disposizione un notevole spazio televisivo in campagna elettorale per provare a migliorare il suo, per ora modesto e sotto le attese, consenso.

 Nelle simulazioni di ballottaggio Bolsonaro, il candidato con percentuali di disapprovazione più elevate (specialmente da elettori di sesso femminile), è perdente contro tutti (fa partita pari con Haddad in realtà) anche se la tendenza è in miglioramento.

 Che due candidati di centro-destra riescano ad accumulare abbastanza voti per arrivare entrambi al ballottaggio non sembra particolarmente probabile.
La situazione è assolutamente fluida e molto può ancora cambiare (le % di indecisi nei sondaggi sono elevate). Appare però chiaro, alla luce di quanto spiegato prima, che il mercato stia scontando, probabilmente a ragione, una probabilità significativa che il ballottaggio sia tra Bolsonaro e Haddad o Gomes, con il candidato di sinistra in grado di presentarsi al secondo turno con discrete probabilità di vittoria.

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Fonte: Datafolha

Nasdaq. Per abitudine quando sono al desk ho sempre davanti agli occhi il valore dell’indice S&P 500, come riferimento più immediato e sintetico dell’azionario globale. Vedo comunque che in tanti seguono (comprensibilmente) con interesse le vicende del Nasdaq (il ‘composite’ è più seguito del 100). La price-action generalmente più vivace tende a fornire spunti di analisi tecnica spesso più interessanti. Per le evoluzioni delle prossime settimane l’area 7880-7900 parrebbe un importante supporto d monitorare.

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Fonte: forexlive.com


 La sessione asiatica ha comprensibilmente festeggiato la riapertura di un canale negoziale tra Stati Uniti e Cina: Hang Seng +1.4%, Nikkei +0.9%, Shanghai Composite +0.2%). Il generale tono positivo ha probabilmente tratto giovamento anche da un dato occupazionale australiano robusto e superiore alle attese.

 Oggi l’agenda degli appuntamenti di mercato si fa intensa, specialmente nella fase centrale della sessione: Bank of England (13:00), Central Bank of Turkey (13:00), ECB (13:45 e 14:30 conferenza stampa), CPI US (14::30). Dalle due principali banche europee non arriveranno stravolgimenti. Mark Carney non si sbilancerà e il voto dell’MPC dovrebbe rimanere un unanime 9-0 per tassi invariati in un momento in cui, nel vivo della trattativa Brexit ha tutto il senso de mondo rimanere alla finestra. Nelle parole di Draghi gli analisti cercheranno indicazioni di flessibilità sul voler attendere fino a tutta l’estate del 2019 prima di iniziare la normalizzazione dei tassi. Già ieri è trapelata l’indiscrezione secondo cui le proiezioni di crescita dell’ufficio studi verranno oggi riviste al ribasso (cosa che aveva inizialmente pesato sull’euro nella sessione di ieri). Un dato di fatto, non necessariamente utile nel preparare i portafogli per oggi, è che nel 2018 tutte e 5 le riunioni monetarie dell’ECB hanno portato a un indebolimento della moneta unica. Certamente interessante sarà osservare l’operato della banca centrale turca la cui perdita di credibilità, nell’essere un’istituzione che subisce l’autoritarismo di un Presidente convinto che tassi alti generano inflazione (!), è stata una delle concause della crisi degli asset analtolici. L’inflazione ormai è galoppante (17.9% è l’ultima rilevazione del CPI y/y), alimentata dal crollo della valuta, e lo scenario stagflattivo, con una recessione ormai alle porte, è evidente. In questi casi l’accademia non ha dubbi: prima va stabilizzata la valuta e curata l’inflazione, solo dopo si può pensare alla crescita. Vedremo cosa ne pensa la banca centrale. Le aspettative per una risposta ortodossa sono più elevate che in passato dopo la dichiarazione estemporanea a valle dell’ultima rilevazione del CPI (“monetary policy stance will be adjusted at the September Monetary Policy Meeting in view of the latest developments”). Il tasso repo a una settimana (tranne situazioni particolari il tasso ufficiale comunemente utilizzato per somministrare la politica monetaria) è attualmente al 17.75% (il tasso più alto, quello ‘emergenziale’ overnight è al 19.25%). Penserei che l’attesa di mercato sia per un rialzo corposo in area 21%-22%. C’è spazio per sorprendere da una parte o dall’altra. Un rialzo è scontato ma se fosse timido farebbe partire un'altra ondata di vendite, proprio ora che la stagione autunnale con corpose scadenze di debito in valuta per il settore privato è alle porte, con un probabile contagio, visti i precedenti, a tutto il comparto emergente. Viceversa, se i policy-makers facessero ‘la cosa giusta’, con un’azione decisa, la stabilizzazione/rimbalzo delle ultime due settimane (in Turchia e, di riflesso, aiutando tutta l’asset class) potrebbe continuare. Il CPI americano ci darà qualche elemento per giudicare se effettivamente le finora sfuggenti pulsioni inflattive stiano davvero iniziando ad emergere, come suggerito dai salari medi orari di venerdì scorso ma prontamente smentito dal PPI di ieri (-0.1% m/m vs 0.2% ex.) che ha contribuito all’indebolimento del dollaro. Buona giornata.

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imf Alessandro Balsotti, Strategist e Gestore del JCI FX Macro Fund

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